martedì, giugno 10, 2008

eroina

è figlia del vento
e della nostalgia
è pioggia è silenzio
è il nuovo messia
non chiede permesso
non vuole pietà
non ha mai paura
non da libertà

lei mi stupiva
lei mi abbracciava

lei è qualcosa
che giulia non sa
ha visto la guerra
in afghanistan
è figlia del mondo
e della povertà
è tregua e perdono
che sogni non ha

lei mi stupiva
lei mi stringeva
lei mi curava
lei mi finiva

domenica, giugno 08, 2008

Mi trovavo sdraiato in baia con una birretta
dall'etichetta strana, sentivo l'umido
sui piedi immersi nella spiaggia, godevo un po' di sera,
da solo. guardavo la sagoma lontana della diga,
più lontana nella mia miopia, pensai alla bellezza che sfamava
di quel posto. qualche ragazzetto infuocato
passava correndo sulla battigia, qualche gatto, poche forme di vita.
immaginai lei in casa dietro la finestra a guardare fuori.
un tempo, pensavo
un'altra nell'ombra a spiare fuori da noi
come quando il vino è sceso nel sangue e scalda e protegge
la natura di buffoni
guardi le crude intenzioni, i vili progetti, sentimenti caduchi
gli umori viola delle vite
quella meccanica costanza dell'amare, del loro bruciare e fallire
scimmie brutte tenetevi in guardia
il pugnale ha due lame e il resto è una ruota
non tocca a noi dividere, pensavo
un tempo ero bravissimo a scrivere frasi a effetto sugli altri
su noi oggi non so dire più nulla.

lunedì, marzo 17, 2008

questo non è nel romanzo, non proprio, è dedicato a tutti quelli che amano commentare la vita altrui, essendo la propria un po' arida.

il mio paese sono gli occhiali da sole alla mattina quando piove, è fabry che si va a prendere quindici caffè prima di mezzogiorno, è la baia, il mio paese è la gente che se ne va via, la gente che dice sestri è una merda, la gente che lo dice e ogni sera è davanti al mille, il mio paese è il mille, sono i cimiteri arrampicati sulle colline, sono le colline pelate e brulle dal fuoco, il mio paese è il primario che anni fa si doveva fare un barbecue in mezzo al bosco, il mio paese è lavorare tutti i giorni, sono i vecchi, sono i milanesi stressati, le milanesi fiche, le milanesi troie, le inglesi distratte che passeggiano nell’aria serena, il mio paese sono le famiglie bigotte e straricche del centro, le ipocrisie benedette dall’altare, i posti barca in baia, gli stronzi che galleggiano in baia, il mio paese sono le ragazzine che prendono il sole ai barconi, le ragazzine sui motorini davanti ai bagniliguria, il mio paese sono le svastiche sgrammaticate sui muri, i bulletti nazi che non sanno quello che fanno, i piccoli cornuti che si sfogano in discoteca, il sabato sera, il mio paese sono gli sbirri che fermano sempre quelli sbagliati, i bravi ragazzi che escono la domenica mattina, il mio paese sono 17 chupiti di vodka-amaretto di saronno, i cartelli stradali assurdi, troppi, le rotonde insensate solo per prendere finanziamenti, i politici brutti, i politici vecchi, la sordità, il mio paese è chi pensa di vivere, chi giudica se la vita degli altri sia più-meno-semi vissuta, il mio paese sono i preti disorientati, le suore azienda, i piccoli drogati, i bambocci che non sanno più amare, i ragazzini marocchini che sanno il genovese, gli ubriachi storici che muoiono ad uno ad uno come alla guerra di troia, gli ubriachi storici che danno il nome a nuovi locali, le serate etiliche, il mio paese è la fogna per strada, i gondoni lanciati dal palco, i vigili urbani che si fanno di coca, il mio paese è un posto dove ci si può annichilire dovunque, dove il sindaco è quasi sempre un dottore, il mio paese sono i comunisti che diventano democristiani, le discariche a cielo aperto, il carruggio pieno di gente alla domenica con un po’ di sole, il carruggio deserto al mercoledì notte, il mio paese siamo noi come lupi, i petardi sulla spiaggia, gli stupri segreti nelle capannette, la violenza dei casermoni vicino alle fabbriche dismesse, il porto di cemento tagliato dalle raffiche di vento, dal mare azzurro, sporco come la periferia, il mio paese è anche bagheriva, il mio paese è di rudy, i locali che chiudono alle 2, lo spumante alle 8 di mattina, la barista che è l’unica che ti vuole bene, la fede che impara e diventa grande, le cabine del telefono sventrate, le case costruite sugli argini del fiume, la scritta "in tutte le direzioni" dietro l’ospedale, il mio paese è una sera di settembre ad aspettare lei fuori dal bar, le serate da piccio, la stefania e la messa dai capuccini, è il frate che prima o poi lo suono perchè con quella vespa mi ha rotto il cazzo, sono i gatti addormentati fuori dal cutter, il mio paese è aspettare la noa, sono quelli di chiavari che vengono a sestri, è la loro puzza sotto il naso, il mio paese sono cinque amiche che fanno il bagno a mezzanotte, è la strada parco che non serve a un cazzo, è janchris che spacca la testa a suo fratello, il mio paese è preparare la maturità in spiaggia, le notti lunghe a sognare di andar via, i mattini grigi a prendere un treno, sere marroni in cui torni sempre a casa, è l’aperitivo la domenica sera, tutti in casa dopo, col cuore agitato, il mio paese comes on just like special key, è il prazepam, è l’elopram per due settimane, il mio paese è pieno di avvocati, è l’ipocrisia, sono le archittetture di villani, i pompini a renà, le scopate sulla selva, le feste sulla selva, il mio paese sono le stagnole bruciate nascoste nel caffè, ale che è diventato grande nonostante tutto, la chiara che è tanto buona, le risse davanti al balin, gli abusi, il nepotismo, le chiese in cemento armato, il mio paese è quel che è rimasto di via della pergola, è la croce arrugginita della seau, il precipizio sulla cima della mandrella, è la corsica che vedi da sant’anna, è il peso di esserci sempre tutti i giorni, il mio paese è la droga per dimenticare qualcuno o qualcosa, sono i funerali di chi è andato troppo presto, è il bambino appena nato al mio compagno delle elementari, è la bambina di cui ero innamorato incinta di sei mesi, erano gli occhi di F., il mio paese è pieno di bamba, sono le scritte di carolina sulle panchine, è l’ape su cui portavamo la rumenta all’ecocentro, i coltelli nella tasca, il fucile in cucina, il mio paese è lasciarsi in un vicolo che puzza di piscio, sono le risate della emma della vale e della vai, è la poesia che mi ha scritto la ila, è l’overflash, è aver paura di parlare di eroina, di morte, di politica, di domani.
il mio paese è la condanna e la cura, le madonnette in carruggio, i muri picchiati e le mani rotte. il mio paese puzza di merda.

ieri sono andato a genova e oggi lavoro fino alle sette. domani è festa e sarò solo come un cane.

domenica, gennaio 27, 2008

i bambini prima o poi si annusano

mi svegliai con le labbra appiccicose, sapevo di cioccolato, laura non c'era. mi aveva spalmato, credo, della nutella in faccia prima di andarsene. L'appartamento era silenzioso, in cucina la finestra era aperta e faceva freddo. Un bel po' di caffè sul pavimento, capì che quell'handicappata aveva trafficato. a un tratto si aprì la porticina del mobile dove tenevamo la spazzatura, uno strabordante sacco si rovesciò sul pavimento. bestemmiai. ero distrutto dal viaggio e con le poche forze misi un minimo di ordine. dopo un'ora c'era ancora troppo casino, io intanto ero vestito, mi lasciai la porta alle spalle e andai in centro.

Incontrai Lore al bar, stava parlando con Maria. Erano preoccupati per Tano, da giorni non si faceva vivo nè andava al lavoro. lei lo aveva sentito il giorno prima ma al telefono lui aveva fatto un complicato discorso sulla salvezza dell'anima, voleva convertirsi, diceva.
- non c'è da preoccuparsi, è normale che ogni tanto gli vengano delle paranoie, con tutto quello che si fa.
- in sti giorni è anche uscito lo strozzino, non lo tengono più in galera.
- dite che si è inquietato per questo?
- no credo che il problema sia che lo hanno beccato mentre faceva passare un chilum di bocca in bocca a dei pazienti della casa di riposo
- si a volte fa così.. lo hanno licenziato?
- no, ma lo hanno detto a suo padre..
- ah.

in quei giorni la televisione e i giornali facevano un gran parlare dei trentenni che non riescono a staccarsi dal nucleo familiare, tromboni psicologi con le pezze al culo si affacciavano a spiegarmi che in fondo ero io che non mi sbattevo, che la vita è piena di opportunità e di lavoro. vaffanculo pensavo. lavoravo sempre, mi sembrava, anche quando non lo facevo. e non era un brutto lavoro, conoscevo gente strana ogni sera, era freddo, e con un bicchiere di roba forte chiunque era pronto ad aprirsi un po'. Laura tornò a milano, ci lasciammo in stazione, era stupido, molto da fidanzati, ma quella volta mi venne così. prima di partire aveva fatto pace con nora. Lei rimaneva, cominciai a cercarla spesso. e più la cercava più si allontanava e io mi intestardivo. nelle mie sbronze patetiche la incolpavo di qualunque cosa. persino di come era finita con Anna. nulla era vero, ma non capivo, non capivo proprio allora.

Un giorno, ricordo, stavo pulendo il cesso, salivano su pezzi di sbocco e smarroni ovunque, suonarono la porta. Lore si era sciolto le chiavi a casa, era la seconda volta a distanza di poche ore, mi disse:
- hanno legato Grossi
- ma chi? giuse? feci io, e un po' ghignavo.
- si, l'hanno beccato davanti al caffè, con un kilo di coca sotto il sedile, mi ha detto Gio che se fanno la perquisa a casa in tempo ci trovano anche delle armi quei figli di puttana.
- mi fotte il cazzo, quella carogna merita ogni disgrazia che gli capita
- già, lo sai che mi deve ancora quei 200 euro?
- a me ne deve 100
- canterà? perchè è questo che mi preoccupa, il bastardo farà di tutto per uscirne il prima possibile, è merda, capisci? è merda davvero stavolta..
Grossi aveva 28 o 29 anni, lo ricordo alle medie, era un cazzettino, balbettava, era timido, ma quando si era in gruppo a fare le canaglie era sempre il più feroce. Coi deboli con le tipe. Crescendo si era sbrogliato, aveva iniziato a spacciare a ragioneria, alle superiori. nei cessi. si fece un nome in breve, ma come spesso accade, gli diede alla testa e incominciò ad esagerare. gli piaceva un sacco la figa e le auto. tirava storiacce di hashish da 3 4 kili a botta, i suoi erano ricchi e i nonni ogni settimana lo investivano di soldoni che lui reinvestiva negli affari suoi. Poi si rese conto che non gli bastava e incominciò con la coca, all'inizio per farci le iene per lui poi sempre di più per le amichette. E anche in questo era un figlio di puttana, non si dava regole con nessuna, e in vero, non guardava proprio in faccia nessuno, neanche chi conosceva dall'asilo.
un giorno, anni prima, avevamo fatto un acquisto in gruppo e gli avevamo dato i soldi, in anticipo, come spesso si fa. Sparì per delle ore. ma continuava a rispondere al telefono, a dire che arrivava. il giorno dopo qualcuno lo vide uscire presto dalla caserma dei caramba, verso le sette, bianco in volto come un morto. fatto sta che della droga non ne vedemmo l'ombra, dopo due giorni legarono Tano dopo una perquisa a sorpresa di due in borghese, gli trovarono addosso qualche canna ed andò a finir bene. ma ne arrestarono altri in quei giorni, non per tutti fu così facile. era chiaro che Grossi aveva fatto l'infame. e per non so quale fortunata coincidenza riuscì anche a scampare vendette, ma quando si rese conto della mala aria scomparve per un annetto. In alaska dissero, dissero che era andato a lavorare per conto di una ditta petrolifera italiana, grazie al padre, come interprete. Quando tornò non era certo pulito dal marchio di spia, ma aveva fatto una certa esperienza e si mise a girare con un riccastro fascista con villa sulla baia. un figlio di puttana di prima categoria per cui organizzava festini a base di figa e coca. tutte le fichette del paese prima o poi sono passate di lì, magari a far niente, ma ci sono passate.

ci pensammo un po', ma presto l'argomento decadde, non era un giorno normale quello, cercai Nora quel giorno, ma non la trovai e aveva il telefono staccato. a sera mi presentai al bar un po' prima, un caffè, non mi accorsi subito che c'era il brigadiere, quello della caserma, più in là verso la cassa. non era in divisa. era un uomo semplice adesso, era il papà di Silvia, una compagna di elementari di mia cugina. mi sorrise e ricambiai il saluto, aveva gli occhi scavati dalla vecchiaia e da brutti pensieri, azzuri e freddi su un volto duromagro squadrato. Presi il caffè e andai fuori ad appizzare una marlboro, c'era vento e la fiamma non reggeva, arrivo una mano ad aiutarmi, poi mi chiese da accendere a sua volta.
- ha letto il giornale? mi disse dopo la prima boccata.
- si signore, beh, mi hanno raccontato
- lei sa per cosa
- il giornale parla di cocaina
- il giornale non dice tutto
- i giornali non dicono mai tutto, come le persone, non è così? lei col suo lavoro, dovrebbe saperlo.
- c'è sempre, in effetti, una parte di verità che viene preservata. protetta. una parte che si ritiene di non dover dire
- la verità è una cosa che va capita oltre che ascoltata, signore, io credo che si ha paura di questo. dire la verità non basta, bisogna farla capire.
l'uomo mi guardò, c'era altro, ma dovevo andare a lavorare, e non avevo voglia di ascoltare il resto. glielo dissi, che dovevo attaccare
- è bello comunque ogni tanto fare filosofia, ora mi scusi.
- certo certo, si trattenne un secondo, ma mentre mi voltavo aggiunse, era uno degli ultimi numeri che ha chiamato, e non era un caso..
- cosa sta dicendo?
- dico che la ragazza morta, chiamò prima questo bar e poi subito dopo il grossi. poi non ci sono più chiamate, se non una ricevuta. l'indagine è chiusa su quella storia, ma è un po' che le volevo parlare di questo.
- non ho niente da dire signore, dissi e questa volta andai dritto in cucina a mollare la roba, quando uscii di nuovo, il brigadiere non era più lì.

Arrivò la mezzanotte, e dire che non era proprio un giorno normale, il 22 novembre. era il compleanno di jake, ricordo che pensai a lungo a questo mentre sbrigavo le ultime cose, che comunque chiudemmo presto perchè non c'era gente. superai le ultime indecisioni, alle due andai in autogrill, mi fioccinai una bottiglia di vodka e tornai a casa. Lore non c'era, mi misi in mutande sul divano a scolarmi a poco a poco la vodka, c'era un programma con delle fighe diplastica in tele, una cosa squallida, mi addormentai rapido. e feci un altro sogno strano.

Ero sul crinale di una collina, salivo, ero io, sulla cima potevo vedere una specie di baracca, con una finestra illuminata. io salivo l'erba era alta, molto alta e io potevo essere un bambino, sono arrivato alla finestra e guardato dentro. Dentro c'era il tipo, il grossi, legato come un capro, come un cadavere che avevo visto qualche sera prima tardi in uno speciale sulla mafia, era tutto sporco di sangue e vomitava roba bianca. io ero felice, e feci per entrare dentro. Ma qualcosa mi svegliò uno schianto improvviso, forse lore che era rientrato, stavo dormendo, pensai, richiusi gli occhi ed ero in camera mia, dai miei, ma questo non era proprio un sogno erano ricordi, sentivo dei passi. era una mattina di qualche anno prima. jake era uscito per andare a lavorare, credevo di essere solo in casa, ma c'era lei. io mi alzai. Stava iniziando di nuovo l'estate, la luce filtrava dalle persiane, irradiava di verde la stanza, sentivo i suoi passi nudi, sul pavimento, lei doveva sentire me. Non volevo vederla, da sempre la mal sopportavo, quando era in casa mi dava fastidio, odiavo il fatto che jake fosse cambiato, ed era cambiato per lei. io davvero non capivo.

era in camera di mia madre, davanti allo specchio, provava sul collo come le stava una vecchia collana, un ciondolo di ferro a forma di cuore, che la madre di mia madre le aveva regalato quando era piccola. una delle poche cose che erano scampate quando avevano rapinato casa, anni prima. Giulia aveva i capelli corti allora. stavo sulla porta e a guardavo da lì. improvvisamente lei mi vide nello specchio, arrossì ma non si girò, continuò a guardarmi lì.
toccava il cuoricino metallico, come a carezzarlo,
- jake mi ha raccontato di questo. voleva regalarmelo, ma gli ho detto di no
mi sorrise. era un po' donna e un po' bambina. e forse fu che vidi la bambina.
- in fondo, in fondo credo non ci sia niente di male
- allora parli?
- ogni tanto si.
non le rivolgevo mai la parola, quasi sempre neanche la salutavo, io non approvavo. ricordo che feci un passo dentro, lei si girò e mi venne leggermente incontro, adesso la potevo vedere ancora con gli occhi spalancati a chiedermi
- perchè mi odi Ale?
- io, dissi, io non ti odio.