mercoledì, agosto 09, 2006

Sogno di una rapina

- E' stato con William, in crociera, è stato bellissimo.
- Chi cazzo è William?
- Tu eri sempre a fare il coglione al bar o al casinò, noi stavamo sul ponte..
- Chi cazzo è William?
- Lo abbiamo fatto in camera sua, una delle più amplie, mica quello spogliatoio che hai preso tu tirchio bastardo.
Si versò da bere nervosamente, la guardò in cagnesco un'altra volta, spolverò senza pensarci, il tono e l'espressione di quando negava le ferie ai dipendenti, prima di montare sulla spider e partire.
Calmo disse
- ho chiesto chi cazzo è William..
- Non ha importanza lo capisci? cosa lo vuoi andare a pestare? non capisci? ho goduto e lo farò ogni cazzo di volta mi pare, come fai tu..
Il tono con cui aveva detto le ultime tre parole nascondeva un sentimento diverso dall'arroganza rancorosa di tutto il resto, c'era dell'altro, lui sapeva benissimo che c'era dell'altro.
- Aspetta, ma tu mi stai parlando di quel negro di merda? hai scopato con quel negro bastardo con la collana hawaiana?
- Si.
- No, non è vero..- e rise nervoso - un negro coglione, ma a parte questo era visibilmente brutto e deficente.. le troie che scopo io sono buone almeno, hai capito?
- Mamma..
- Un momento.. si vede che si accontentano di quanto le paghi, non si divertono di sicuro..
E andò verso il corridoio, tirando su la lampo sulla schiena, mettendo bene apposto le tte nelle coppe.
- Stai buono Luca, ora mamma e papà vanno a cena con alcuni signori di Torino.. ti ricordi l'altro giorno sulla spiaggia? i signori che sono scesi da quella grossa barcona? si.. ecco andiamo a cena là e non possiamo portarti. Non sono riuscita a trovare Pamela per cui starai solo un paio di ore, ma vedrai che torniamo presto. Ecco qui c'è il telefonino con il mio numero già sopra, devi solo premere il verde. Premi il verde e chiama per qualunque motivo, come a scuola ok?
Il bimbo sulla sedia a rotelle annuì. Abbozzò un ciao quando li sentì partire con il macchinone di mamma, che occupava per intero la strada che portava alla villetta.

Luca rimase solo. Accese la televisione in cerca di cartoni o belle signorine. Poi si mise a giocare con il regalo del suo decimo compleanno, un piccolo videogioco con televisione incorporata, che faceva un casino infernale quando voleva. E anzi c'erano pure delle volte che lo accendeva solo perchè facesse casino. Come spesso accade ai bambini, nel casino si addormentò.

Sognò il solito sogno. La scuola aperta, la ricreazione, lui che tira sberloni ai suoi compagni più piccoli in particolare Alberto Pica, un grasso nano, una palla oleosa con quei capelli radi e sottilissimi. Lui è lì e dà dei fortissimi coppini ad Alberto che piange ed urla. Lui ride. Alberto a un tratto alza la testa e gli tira un violentissimo pugno sul mento. Lui ride ma il pugno gli fa male. Chiude gli occhi. Alberto sta scappando, scappa come una lepre, scappa dalla scuola. Lui sente la sua paura e lo insegue. Alberto si sente spacciato e fa una cosa che Luca non si aspetta, si lancia a capofitto in mezzo alla strada. Dopo c'è una grande frastuono e un lunghissimo prato verde e tante donne bellissime vestite come principesse che danzano leggere e magnifiche. A questo punto del sogno sente shpejt,shpejt e un grande frastuono.

- NON URLATE!- ringhiò Carmine. Ma quelli erano agitati, avevano tirato bamba, e se ci fossero state donne in casa sarebbe stato un grosso problema. Il ferro tanto lo aveva lui ed era anche piuttosto pronto. In tre si sparpagliarono per la bella e spaziosa villetta. Carmine giunse in camera da letto frugò senza troppo garbo dappertutto. Un po' di soldi li trovi sempre. Si accese il monitor del computer, sotto c'era un programma, Carmine lesse i file scaricati, dai titoli bizzarri. Schiacciò un tasto e partì un filmato con una bambina che entrava in un bagno e si metteva a pisciare. Co dio, pensò Carmine.
- tu sei un bandito? - al primo suono Carmine si era girato con la pistola puntata davanti a sé. Ma non c'era nessuno. Poi guardò in basso e vide questo babanetto sulla sedia a rotelle con l'aria un po' addormentata.
- Una pistola, disse il nanetto, allora sei un bandito?
- Beh, disse Carmine ripigliandosi, in un certo senso.. comunque stai tranquillo, non ti faremo male..
- Mi fai vedere la pistola?

Carmine ha 19 anni, si trova lì più per scommessa che per credo, questa cosa non l'aveva calcolata. Non si sentiva pronto ad ammazzare nessuno, ma il bambino sulla sedia a rotelle aveva visto. Mentre pensava a tutto questo con una preoccupazione crescente diede in mano meccanicamente la pistola al bambino.

- E' pesante!
- E' di ferro..
- Come si usa?
Riprese la pistola che il bambino gli passava e glielo fece vedere.
- Mi ucciderai?
- Non ti faremo del male, disse, stai tranquillo. E' una cazzata questa.. un furtarello.. ma ce ne andiamo subito..
- No dai, stai ancora un po', disse il bambino, io, disse, io non vedo mai nessuno..
- Come, beh come mai sei così?
- Mi ha messo sotto una macchina. Stavo inseguendo uno stronzo per picchiarlo.
Carmine rise. Poi si fece un po' triste, il pischello gli stava simpatico, poteva avere l'età di suo fratello piccolo. Suo fratello non avrebbe mai fatto il muratore, lui non lo avrebbe permesso perdio.
Shpejt, Shpejt!!! urlavano da sotto, CarminacarminaShpejt!
- Devo andare..
- Portami con te, potrei, potrei.. potrei pulirti la pistola..
- Non sai pulire la pistola
- Me lo insegni tu..
- Non posso, non posso..
E scese le scale, poi si fermò si girò e gli disse
- Ma era proprio stronzo quello?
- No, disse il bambino triste, mi sa che ero più stronzo io.
- Stai tranquillo.. Tutti ci prendono per il culo prima o poi. Ma poi tu diventi più cattivo e puoi sempre vendicarti.. che cazzo dico.. vuoi veramente venire con me?
- Si, vorrei avere una pistola come te.
- Una pistola e cosa ci faresti?
- Ucciderei mio padre, proteggerei la mamma. Mi capisci?
- Si, disse Carmine mentre scendeva le scale, si amico mio, disse.

lunedì, agosto 07, 2006

Il re e il suo regno

Si mise sopra quel piccolo piano, lungo la salita, che un giorno qualche frate aveva usato come cacatoio, proprio lì di fianco alla panchina. Non ebbe troppa pietà per i due tredicienni che stavano amoreggiando lì sopra. Non gli interessava. Stava lavorando. Bisogna scattare una fotografia, bisogna inventarsi una splendida cartolina. Piantò il trepiedi per terra, montò la macchina con una certa accuratezza, starnutì, si schiarì la voce e si soffiò il naso. Guardò la posizione del sole, calcolò la luce, la prospettiva, il volume di fuoco e mirò. Si incazzò terribilmente quandò contò nello specchietto di mare, in cui consisteva la baia, un numero intorno ai quarantacinque yacht da imbarco puttanoni. Quelli proprio sfacciati, quelli che non hanno altro scopo che sbattere in faccia agli altri il proprio successo. Si incazzò e questo scatenò in lui un sentimento strano, una cosa che non gli succedeva dalle elementari, l'indignazione.

La baia vive di anarchia, un'anarchia spietata che vive ogni giorno l'eterna battaglia tra luce e buio. Verso le otto di mattina comincia ad accogliere i primi anziani che vanno a bagnare le zampe timidamente sulla battigia, in un'acqua che non è pulita, ma almeno sembra salubre. Poi arrivano i primi ragazzetti, quelli che la sera prima non han potuto andare a dormire tardi, con le famiglie le piccole tenere e stronze famigliuole borghesi italiane, che non hanno una vera e propria età, una vera origine. In essa i singoli si disperdono in tanti ombrelloni, veri funghi estivi, vero frutto del deserto sabbioso. Eppure sono loro il Bene e infatti bagnati dalla luce dominano il giorno per intero, trasformando la bella cartolina in un carnaio. Il carnaio, il brulicare fitto di queste varie umanità si riempe poi nel pomeriggio di figa e coglioni. Ai programmi familiari insomma si aggiunge un po' di moda, a tratti volgare si, ma nelle regole in fondo. Tutto questo dura fin quasi al vespro quando crudeli e magnifici cominciano ad arrivare i primi ubriachi molesti, i marcioni, i tossici. Ecco con la notte quell'anarchia posticcia e molto commerciale si trasforma e diventa un luogo di libertà, anche troppa. Ma questo luogo ha delle gerarchie, ha un re. Il re della Baia non lo divenne in un giorno solo, ci si trasformò e pagò un prezzo pure.

Un'estate non troppo lontana, i bagnini secolari, gli scioperati camerieri dei locali per vip con terrazza sul mare e qualche suonatore si trovavano su una barchetta turistica praticamente abbandonata a se stessa. La loro funzione, dopo le sette di sera, era quella dei gabbiani. Ma i discorsi che potevi sentire andando molto vicino non erano mai banali, seppure volgari o depravati. Era più questo che il resto a innervosire il carnaio. La moda dei bagnini rincoglioniti e palestrati si era già insinuata, ma sembrava essere lontana dall'attecchire. Insomma stiamo parlando di una specie di estate mitica. Quel giorno Ettore stava parlando con tono ispirato di un amico scomparso, che nessuno lo trovava più..

Un bravo cristo insomma che aveva un po' esagerato e chissa perchè poi? di famiglia stava bene, un tipo divertente, poteva avere non dico tutte, ma insomma, anche a donne se la cavava. E non era mica la prima volta che spariva. Magari ecco quello un giorno si svegliava che doveva andare a scuola, prendeva il treno e mica si fermava andava dritto. Poi arriva il controllore e scende tipo a Pavia, poi ripiglia sale su un treno pendolari e giunge a Milano. Poi da Milano a Venezia passando il viaggio in compagnia di una punkabbestia che se lo beccia e gli frega il portafoglio. E così senza documenti sto bastardo arriva a Vienna. C'è stato un po', lo hanno raccolto degli zingari, secondo me ha pure dato via il culo qualche volta. Poi un giorno arriva alla frontiera slovacca e si mette a litigare con i doganieri slovacchi perchè pensava che lo stessero pigliando per il culo, lui parlava in inglese e loro non capivano e rispondevano con una roba che era tutto sputi e madonnen. -Ma che cazzo è?, cominciò ad urlare, state alla dogana e non sapete manco l'inglese-. Ma lui non aveva documenti ed ebbe la peggio, anche se ci volle del bello e del buono per fargli sputare il nome e ancora di più per ricacciarlo a casa che lui non voleva tornarci. Suo padre fa l'avvocato e se l'è andato a pigliare. Quando è arrivato alla polizia di frontiera stava scrivendo sui muri della cella le declinazioni in inglese, con due secondini che lo guardavano interessati..

In quella passò un coglione, occhiali da sole e passerona a carico, che con il moscone, fece del gran casino di onde facendo cadere in acqua una delle chitarre. Ettore si alzò in piedi, e dato che il coglione era pure imbranato e incapace di virare il più lontano possibile saltò al balzo sopra la barca e prese a pestarlo selvaggiamente tra gli incitamenti della folla e ululando come un cane lo prese di peso e lo cacciò in mare. Quindi ridendo come un pirata, si mise a pisciare sul retro del moscone. Col tipo che madonnava, ma incapace di risalire anche a causa delle zaffate d'acqua che gli arrivavano addosso dalla barchetta. Ettore prese le chiavi del moscone e le cacciò in mare, poi con perfetto stile si lancia di testa e a tutta velocità ritorna a riva. Gli amici lo raggiunsero allo scoglio piatto dopo cinque minuti, lui stava fumando una canna rilassatissimo, come nulla fosse successo.

Per tutta l'estate il coglione cercò quel tipo che lo aveva trattato così, lo voleva morto. Ma non riusciva mai a beccarlo e la cosa era singolare perchè Ettore era sempre in Baia da qualche parte. A settembre, la sera prima di partire si fumava una sigaretta da solo, perchè la tipa lo aveva mollato dato che era proprio un coglione, e continuava a sentire risate e gorgoglii. Ettore era a tre metri di distanza che faceva l'amore con una tipa di Londra in vacanza. La cosa divertente è che Ettore non sapeva una fava di inglese.

Il fotografo giunse davanti al comune. Il palazzotto tragico in perenne ristrutturazione. Intravide il vicesindaco. Era costui un vecchio dirigente democristiano abile a parlare in pubblico ed esperto nelle faccende diplomatiche, uso al compromesso più di ogni altra cosa.
- Mi scusi, disse il fotografo
- ah è lei, volevo giusto parlarle del calendario, ci sarebbero alcune richieste su scorci particolari, villette da includere nel campo visivo, diciamo, ma, mi scusi mi dica..
Il fotografo cominciò ad arrossarsi. Era una persona timida, grigia e con occhiali spessi e butterati. Ma il suo mestiere lo sapeva fare bene e questo col tempo gli aveva regalato del senso civico. Ora il senso civico stava bollendo, con grandi difficoltà per il resto del cranio.
- La prego venga con me.. andiamo un secondo in baia, disse
- Uhm, va bene, così parleremo delle foto meglio
Giunti in spiaggia il fotografo allargò le braccia verso le innumerevoli barche schierate in pochi metri quadri.
- E' uno schifo, disse
- Eh lo so, ma sono dei begli introiti sa?
- Ma io come faccio a fare le foto? questi restano sempre qui lo sa?
- E lei faccia le foto alle barche.
- Ma io sono stato pagato per fare le foto alla baia non alle barche Gesugesu!
- Guardi non possiamo farci niente..
- E' uno schifo, disse Ettore spuntando all'improvviso. La sua apparizione, con quella faccia da ramingo cattivo, inquietò istantaneamente il vicesindaco poveruomo che soffriva di cuore e si era appena risposato, lui sessantenne, con una giovane rumena che già ci pensava da sola a farlo inquietare.
- Sti bastardi cagano in mare diretto, porcaputtana, guardi là c'è un bambino che sta giocando con uno stronzo galeggiante - disse Ettore
- ma.. abbozzò il vicesindaco
- Paolinoo, gridò la nonna a Paolino, che era il bambino con lo stronzo, Paolinoo cosa hai trovato?
- Ha trovato uno stronzo signora lo faccia venire a riva..
- Silenzio.. sussurrò il vicesindaco, che pubblicità.. ma cosa siete voi, pazzi? ne va della reputazione della città insomma!
- Ma sto mare è una latrina! disse il fotografo

Il vicesindaco era democristiano, tuttora, nel suo cuore loo era proprio, non era un animale da scontro. Fu in quell'occasione animale da fuga. Lasciando cadere il discorso in modo perlomeno buffo, alzò i tacchi senza manco salutare..
- Giunta! giunta! bofonchiò andandosene.
- E se non spegnete quei cazzo di fari là sopra li spengo io! hai capito? gli urlò dietro Ettore.
Ma quello se ne andò e alla fine con fare rassegnato se ne andò pure il fotografo, Come al solito dopo un po' se ne andarono tutti. I fari, che avevano messo apposta perchè i milanesi con le case in baia si erano lamentati dei molesti serali, si accesero al solito alle 21 in punto, come sbirri al penitenziario.

Ettore giunse a casa di suo nonno verso le 22. Entrò dentro e chiese una cosa in prestito al poveruomo. Quello gli disse di si pensando che gli avesse chiesto di andare al cesso. Ettore arrivò in baia alle 22 e 20 puntò la balestra e come un Dio oscuro, in quattro colpi regalò al popolo della notte il suo amato buio.

domenica, agosto 06, 2006

la parola "amore"

Si svegliò con un gran mal di testa. La bocca sapeva di vomito e vuoto ed era tutto dire. Tanto oggi niente scuola, già. Fece una lunga doccia gelata, mentre fuori cominciavano gli schiamazzi del mercato rionale. In casa non c'era nessuno, zompettò in giro per casa nuda, abbastanza addormentata ancora da trovare la cosa divertente e infine si fece un caffè.
La mamma aveva lasciato la caffettiera pronta sul fornello. Una caffettiera che aveva comprato lo stesso giorno che erano andate a vivere lì dopo che Luigi, suo padre, era morto. Non era proprio morto, ma una cosa così, almeno per lei. Si vestì alla leggera e intanto pensava a come avrebbe raccontato la serata prima ad Angela e alla Lory.
Uscì e col motorino arrivò in centro dove lavorava sua madre. Era quasi l'una e di solito d'estate la andava a prendere, così nell'ora mangiavano insieme come vecchie amiche. Questo succedeva ininterrottamente da sei anni, che lei andava ancora alle medie, pure col brutto tempo, pure se erano reciprocamente incazzate, pure se non si aveva proprio voglia. Era un rito, con la forza di un rito. Ma certe volte era proprio bello, a lei piaceva vedere la mamma felice, vederla sorridere la faceva sentire, non contenta, tranquilla. La mamma era buona ma non invincibile. Era una delle prime lezioni che aveva imparato.
Ricordò, mentre percorreva il viale di palme fino ai palazzoni nobili dove mamma lavorava, ricordò l'unica volta che l'aveva picchiata. Avrà avuto quindici o sedici anni, da giorni chiedeva se poteva farsi un terzo orecchino, che le piaceva, che tutte già avevano, e alla sera era tornata a casa col buco fatto e un'infiammazione. Sua madre le aveva detto di non farlo. Quando la vide, la vide scura chinata sul tavolo della cucina a pulire i fagiolini ad uno ad uno, con la faccia tirata dalle bollette dell'acqua. La mamma si alzò, le sfiorò con una carezza i capelli per vedere meglio l'orecchio, poi le mollò una mina sulla guancia opposta che la sbattè per terra e se ne andò in bagno. Quando si tirò su la sentì piangere dietro la porta, di quei pianti costanti e monotoni, ma silenziosi e appenna scanditi dal respiro che si faceva piano tutto ad un tratto.
Entrò nel portone, quei bei portoni barocchi, perchè i ricchi ci sono sempre stati, e vide il culone familiare di sua mamma dondolare avanti e indietro con una certa allegria mentre saliva strofinando le scale.
- ciao ma - disse e mentre questa si girava, vide Anna scendere le scale in quel momento, con un nuovo vestito, un nuovo costume, e quella faccia succhiacazzi impunita che aveva sempre tutte le volte che non c'era l'uomo ufficiale in giro.
- Ciao Giulia, vieni al mare con me? hai da fare?- le disse mentre scendeva senza degnare neanche di uno sguardo la donna delle pulizie.
- Non penso Anna, sono venuta a trovare mia mamma- e la indicò lì in terra, con un cenno.
- ah - fece Anna - peccato c'erano anche gli altri sai? c'era anche Tommy e Robbie..
- beh - quali sono le cose che pensava? probabilmente solo a non essere lì, di fronte a quel vestito nuovo e alla sua affascinante "amica dell'estate".
- e Simone, sai? oggi c'è anche Simone. Se hai tempo, dopo possiamo vederci alla boa, davanti ai bagni, come al solito-
La mamma stava zitta e continuava a lavorare, ma aveva fatto un occhiolino a Giulia di nascosto, girandosi per poco. Giulia sapeva che l'avrebbe fatta andare subito. Faceva sempre così, e lei si mise a contare meccanicamente i secondi che sarebbero passati da lì al momento in cui Anna se ne sarebbe andata. Si mise a fissare il pavimento dove era posato lo straccio di sua madre, e lo continuò a guardare nelle sue intersezioni mentre ci passava sopra il nuovissimo sandalo Gucci di Anna. Non siamo tutti uguali, pensò. E sorrise, mentre Anna la salutava, con gli occhi altrove, gli occhi spenti.

Entrò in casa di corsa mettendosi addosso il più spietato scazzo, Jake non aveva pietà per sua madre o suo padre, c'aveva fretta oggi, mangiare, dormire un'oretta e partire. Non si girò nemmeno quando suo padre gli urlò qualcosa sul lavoro. Dormì poco, non dormì quasi, sconvolto e infastidito da tutti quei rumori che si sovrapponevano alla quiete, al riposo. La tuona era drastica, era senza coscienza. In quel momento e proprio in quel modo si rese conto di essere innamorato. perchè proprio lì ed ora, si metteva a pensare a lei e al suo viso, e successivamente alle sue tette al suo corpo come una linea ondulato e scoppiante vita, esuberante vita. Ciò di cui aveva bisogno, perchè la routine quotidiana e frenetica non aveva peso, ma aveva ragione pratica. Fedeltà. Lealtà e senso del dovere si presentavano improvvisi ai suoi occhi con una violenza estemporanea. Da qualche mese ormai. Eppure aveva imparato la grande lezione.. Non c'è male che ti perseguiti per sempre sai? chi glielo aveva detto il nonno?. o un amico fidato che si occupava di lui proprio in quell'ora desolata.. e quante ore desolate c'erano state oramai? e il dubbio fino, insinuante allo stremo dell'animo, la domanda più ovvia, se era davvero quello il dolore? o un plastificato romanticismo irreale come il resto? Come il resto, l'incubo, violento e nella velocità immobile.

Fu la bava a colargli nella gola, e un improvviso bisogno di cesso, a svegliarlo. L'orologio e la fretta arrivarono dopo. A poco a poco, subentrarono anche loro con la razionalità. Meno di cinque minuti e poi lei sarebbe andata a lavorare. Lei per cui fare qualunque cosa. Lei che non era niente se non un'immagine. Una madonna.. Madre, madre abbracciami, pensò lavandosi addosso litri d'acqua da finire per terra. Eppure, nulla la bomba in testa non passava e anzi, nel fragile comporsi di sonno ed ebrezza, si moltiplicava nello specchio lucente degli occhietti rossi.

Fare la cagna tutto sommato è semplice. Basta chiudere gli occhi e sorridere, pensò. Si disse, quante volte è successo? Quante volte ho lasciato che fosse il sangue a decidere e non io. Le occhiate di Simone e del suo migliore amico l'abbronzavano più del sole. Ma loro erano innocenti sapete, Giulia era bellissima. Era piccola come una piccola bambolina cicciotta e liscia, liscia che pareva colare quel colore bruno della pelle, per scintillare odore di sensi. Vestita di un fragile rumore di niente, esplodeva a tratti il suo essere donna, il suo piccolo e privato essere donna. Che chi non avesse capito, chi avesse desiderato troppo o chi avesse ben pensato avrebbe giudicato osceno. Come dar fuoco a una croce, tanto era pagano il suo seno, il suo sorriso compiaciuto. E lei li guardava e leggeva nei loro occhi tutto questo.. e più in fondo dove tutto questo non esiste più, dove il sesso diventa vecchio, lì vedeva senza saperlo se stessa, distesa tra cumuli di neve azzurra.
Simone o chiunque altro. Nient'altro. Nulla che potesse durare più di domani, lei questo pensava mentre quei poveri imbecilli la immaginavano stesa sotto di loro, come un letto o un motorino.

Correva senza senso, senza speranza, nella più profonda sua età. Correva perchè senza pensare aveva deciso che lei era una giustificazione al Rischio, tanto bastava. Nient'altro serviva. In un momento di forte vento laterale sulla vespa, blu come il mare che schiamazzava di fianco, pensò, si chiese, perchè? perchè non combattere invece? perchè se tutto questo non era che un riscatto, perchè perdersi dietro una che mai avrebbe capito. E capito cosa? - si disse, maledicendo con la bocca un imbecille pieno di soldi e fortuna che gli aveva suonata, capito cosa di me? cosa sto facendo? - si disse e intanto la velocità era più ripida del mondo infame, in questo aiutata dalla tuona maestosa che gli scorreva. Lui la ringraziava, in realtà, adorava quella tranquillità placida, plumbea che lo permeava dal frastuono, dalla normalità.

Giulia si era fatta osservare abbastanza. Doveva lavorare. Il dovere era una cosa, era sua madre, e lei lo amava quel "dovere", lei amava quella donna cocciuta e indifesa. Fecero i galanti come in un film con Boldi. Perchè questo era il meglio del meglio. Perchè il meglio del meglio fa schifo. Lei sorrise tutto il tempo, quasi muta fino a che non se ne liberò. Poi volò al porto, al ristorante, attaccava alle sette, fino alle due, in nero nero, tipo black out. Quando scese al posteggio del porto, pensando a ste cose, disse tra sè un pò stupidamente, la prossima volta voto i comunisti.. poi vide arrivare una vespa blu. Il tipo lo vedeva sempre a quest'ora, lavorava lì vicino. Non l'aveva mai salutata, pensava di non piacergli. Ma poi si era resa conto che ogni tanto la guardava. Lei sorrise, lui la vide di lontano, la macchina non vide lui, lui planò molto, molto lentamente sull'asfalto, del tutto casualmente di fronte a lei.

Lui nel volo pensò, che figata, adesso le cricco vicino, vaffanculo diaccio, se finisce così son felice, maledetto donami la pace. Prese un colpaccio secco, sentì il sangue sulle gengive, sentì il suo profumo e aprì gli occhi e la vide lì davanti.
- Sei bellissima, disse
- Stai bene?, disse lei in un sorriso

Si misero insieme due mesi dopo, quando lui uscì dll'ospedale. Lei era sempre bellissima.

- Resti ancora qui con me? le rispose e lei quel giorno al porto capì tutto, proprio tutto.