giovedì, aprile 27, 2006

La poltrona del sindaco

-Ho detto che non ci vado e NON CI VA DO!- era vagamente incazzata, ma si moderò subito. Eh che questo Chiozzi era una persona strana. Questa ricchezza sbattuta in faccia, che non si sa bene da dove è venuta, questo modo di fare amichevole da sciacallo. Un sciacallo. E la ditta poi? lungi da Rossana fare della facile polemica, ma insomma perchè proprio una ditta edile di Trapani? Dice che i prezzi erano i più competitivi, che c'era stato l'appalto.
Rossana, le avevano detto diversi consiglieri, Rossana ti devi fidare, l'appalto è una cosa pubblica sai? di cosa avere paura? di chi non ti fidi? non ti fidi di noi? sù non fare la ragazzina.. Non fare la ragazzina, le avevano detto, e poi.. e poi tuo padre, eh? Pedro cosa direbbe, che non ti fidi di noi?

Pietro, 19 anni guerra in albania, fango, guerra in grecia, fango e un po' di morte. Medaglia al valore, si caccia a recuperare un disgraziato di napoli che era rimasto imbrigliato in una rovaia, gli avevano fatto partire un ginocchio a piombate. Ritorno in Italia, clinica in provincia di Bologna, nel bel mezzo di un faggeto, tanta figa come non ne aveva mai visto fino ad allora. Va bene che la gamba non funzionava, però solo quella. Lascia Bologna con tre cuori infranti e (forse) dei figli. Ritorna dalla mamma che c'ha 23 anni. Sul treno tre pischelli con la divisa nera gli rompono il cazzo, molto velocemente scivolano giù dal treno. Lui scende e prima di veder la mamma finisce in montagna, nome di battaglia Pedro. All'ombra di una quercia gli vengono impartite lezioni serrate di comunismo. Tipo catechismo, perchè a lui la scuola non l'avevano fatta fare, miniera a sedicianni ed era lusso che prima quando andava a lavorare i campi si doveva svegliare prima ancora e a lui la figa gli era sempre piaciuta fin dalla culla. Tipo catechismo, e il comunismo era una bella verità, cioè non era mica Dio, ma dovunque ti giravi sapevi sempre dove era il nord! E fu così che il partigiano Pedro digerì il comunismo: rubi ai ricchi e dai ai poveri, semplice e fragoroso, come le granate che ti lanciava dai muretti sulla strada. Pedro, militante nel partito a trentanni. Operaio sfruttato e perseguitato. Segretario della locale sezione. Pedro che lascia la moglie e si mette con una ragazza della fabbrica, Giuliana. Hanno una bimba che la chiamano come la Rossanda, perchè Pedro nel frattempo non è mica rimasto un grigio compagno del PCI. La coscienza della diseguaglianza lo ha talmente infervorato e poi.. e poi segretamente s'era innamorato della Rossanda che l'aveva vista ad un congresso e..
E poi un giorno gli è cascata una barra di metallo sulla spalla. Da dieci metri. Ed è rimasto lì Pedro, perchè sui monti s'era conquistato il lavoro in fabbrica mica la libertà.

E Rossana va in macchina. Passa davanti all'ex deposito, dei ragazzi stanno occupando. Ci sono i vigili, i carabinieri, tutto insomma. La televisione ha reso tutto più difficile. Adesso uno vede la gente che occupa a Milano e pensa che lo si possa fare anche qui. Senza sapere nulla, neanche cosa farci con l'occupazione. Come quando le fanno a scuola. Rossana pensa a quando aveva fatto lei l'occupazione. Che a sedicianni ne hai sogni per la testa, che suo papà era morto da dieci anni e sua mamma non le disse nulla quando telefonò a casa per dire che dormiva a scuola, che c'era la Rivoluzione. Lei l'avevano cresciuta i compagni di suo padre, era la beniamina.
Il bene e il male, ecco cos'era: non c'era nulla di particolarmente giusto in quelle sceneggiate da film. Eravamo piccoli, pensava, ma lì quella notte noi eravamo il bene e tutti gli altri il male. Il bene era qualcosa di diverso dal presente, non era più neanche un sogno, era un bisogno. Il male era il brutto, la tristezza, l'indignazione repressa, l'umiliazione. Non c'era nulla di giustificato era solo gridare: se noi facciamo così vuol dire che cè qualcosa di sbagliato lo capite? lo CA PI TE?
Non lo capivano. Ma poi le insegnarono la moderazione, questa strana forma di coerenza democratica, per cui si vuole, si desidera qualcosa che è diverso dal resto. E il resto è tutto ciò che si deve cambiare. E allora quei ragazzi erano dei sovrani coglioni nel loro richiedere delle cose discutibili in modo completamente sbagliato, delle sberle alla coscienza se si trattava di bene e male..
E lei la coscienza ce l'aveva ancora. Quando l'avevano fatta assessora, aveva detto di no tutte le volte che sentiva puzza, che non gli piaceva. Non era molto politica, ma tutti furono costretti a riconoscerle un aggettivo: libera! Questo nle piaceva veramente e la gente, anche chi non capiva un cazzo, l'apprezzava. Quando avevano detto che sarebbe stata candidata a sindaco si erano dovuti inventare un sacco di storie prima sul fatto che fosse mignotta poi sul fatto che fosse lesbica.. ma era inutile. L'avrebbero votata in massa. Il primo sindaco donna. E libera.
Rossana scese dall'auto davanti al municipio, mentre saliva le scale fu fermata da due assessori. I ragazzi all'ex deposito non ne volevano sapere di mollare.
-Dicono che stanno lì anche stanotte, che è un luogo pubblico, che non è giusto farci delle case per turisti..-
-Sono ragazzi, fanno sempre i coglioni a quell'età.. esclusi i presenti- e sorride a Rossana. Rossana non sorride, fa finta di niente. Quelle case le avrebbero fatte comunque, ma bisognava smetterla. Lei avrebbe messo fine a quel mercato nero di cemento.

La signora Pina guardava dalla finestra quel trambusto di fuori. Abitava da anni in affitto al terzo piano dirimpetto all'ex deposito. Alle sette di sera di solito guardava sempre la televisione, ci si perdeva dentro finchè il sonno non subentrava. Il marito era morto da qualche anno, e lei che aveva vissuto tarandosi sulle sue abitudini, ora solo la televisione aveva. E invece quella sera era sul balconcino a guardare con curiosità e fastidio un frastuono sconosciuto, senza capire nulla tra ragazzini e poliziotti o carabinieri. Ora vedeva arrivare la Chiara, la figlia della Gina e il suo fidanzato il meccanico, che quando la incontravano alla coop la salutavano sempre. E allora quella sera la signora Pina prese coraggio scese di sotto e andò vicino ai due ragazzi che come altre persone guardavano la scena in mezzo le forze dell'ordine e il giovane disordine.

L'ufficio del sindaco era aperto. Rossana era entrata incurante, come faceva sempre. Tutti avevano paura del sindaco. Per tutti era più che il sindaco, era il vertice di un sistema di potere piramidale, a tratti quasi esoterico. Per lei, il sindaco era un vecchio burocrate, la cui placida calma era solo l'involucro esterno di un sacco di calcoli freddi, freddi e vuoti. Diventano tutti così, i sogni muoiono per questo: a un certo punto non si riesce a cambiare tutto, tutti insieme. Qualcuno si stacca e calpesta gli altri, ne basta uno e l'equilibrio del sogno crolla e crollano i trampolisti. Io no, sono la figlia di Pedro. Io cambierò tutto, da sola.
Il telefonino squilla, è sua cugina Maria, Rossana sa che è all'ex deposito.
-Guarda che ho sentito che arrivereranno i carabinieri, prenderete delle sberle e avrete fatto la figura dei coglioni. No. No. Maria non hai capito io non posso farci nulla.. eh si adesso hai in mente che vengo lì tra di voi.. eh si certo che se ci sono io i carabinieri non picchiano nessuno.. Maria tra tre giorni ci sono le elezioni e io sono la candidata di una grande coalizione.. Maria! Maria!-

Maria aveva cacciato giù il telefono, i carabinieri erano arrivati con una camionetta. Da secoli chi era stato rivoluzionario a ventanni, a cinquanta aveva la coscienza sporca e quindi tendeva a reprimere ferocemente le ribellioni altrui. E' una regola della democrazia. Maria vide Fede prendere la chitarra piazzarsi davanti agli sbirri e sedersi per terra.
Chiara alle prime note del primo accordo riconobbe quella canzoncina che suo nonno le cantava quando la prendeva in braccio da piccola. Non ne coglieva l'importante contenuto sociale e politico, i velati messaggi culturali. A Chiara faceva schifo la politica, facevano schifo i politici, non gliene fregava nulla di parecchie cose importanti tipo la religione o l'economia, ma si rcordava le canzoni che ascoltava da bambina e sapeva dove era il bene e dove era il MALE. Fu così che Chiara che aveva costretto Paolo a mettere sul grande fratello di turno la sera dell'elezioni, Chiara diplomata in ragioneria perchè il liceo "era troppo difficile".. Chiara appunto si mise a cantare e fu la prima, e la signora Pina ridendo ci si mise anche lei e per sentire meglio si andò a mettere proprio dietro a quel pericoloso ragazzotto seduto che suonava la chitarrina in faccia ai carabinieri.

-Così ti sei resa conto anche tu che ci sono le elezioni tra tre giorni- Rossana si allarmò un attimo quando vide il sindaco alle sue spalle - meno male, sai molti confondono l'imbecillità con la giovinezza -
Rossana quando era entrata e nessuno era dentro, si era seduta sulla poltrona. Ora cercava di alzarsi velando l'imbarazzo con l'indifferenza.
- Stai pure Rossana.. ormai è il tuo momento -
- Qualcuno confonde l'imbecillità con il comunismo, sindaco, anche questo è vero- intanto si alzò e guardando negli occhi gli si pose di fronte, come si sta davanti a un nemico.
- Il comunismo non esiste più, non te lo hanno detto Rossana? Oggi c'è il mercato, c'è l'amministrazione di molteplicità d'interessi, il popolo è una moltidudine di singoli-
- E lei da quando non lo è più? oppure mi vuole dire che non lo è mai stato e a Roma con i voti di chi ci è finito?- Rossana usava un tono scherzoso, ma sapeva qual'era la battaglia. Conosceva il motivo per cui il sindaco era qui.
Il sindaco sorrise. Il sorriso era lo stesso da sempre, il sorriso del potere dall'inizio del mondo, di chi risparmia la vita. Senza drammatizzare troppo il sindaco si sedette alla poltrona.
- Tu sei il candidato sindaco di una grande coalizione. La gente voterà te, ma siamo noi che decidiamo questo, capisci, bambina mia? Tu sei la figlia del comandante Pedro e questo E' il motivo per cui sei quello che sei. Ma non ti esime da rispettare le responsabilità che ti stai per prendere. E noi - abile pausa in cui il sorriso si trasformò in un ghigno feroce - noi vogliamo delle rassicurazioni per il futuro programma, perchè la politica, l'unica politica vuole stabilità, capisci, bambina mia?-
- No. Non capisco.- e capiva benissimo, stava solo contando i secondi che separavano da quel cognome che stava per piombarle addosso come una mannaia.
- Domani prenderemo un aperitivo su quel grosso yacht che puoi vedere guardando dalla finestra- indicando fuori - E' del signor Chiozzi, io credo che tu lo conosca già vero? -
- Quell'uomo è un mafioso!-
- La vita privata del signor Chiozzi non ci riguarda bambina mia. Domani verrai perchè noi lo vogliamo e non c'è altro, futuro sindaco. E' tutto chiaro, bambina mia?-

Su in cielo, in un angolo del paradiso riservato agli uomini di buona volontà, che gli angeli sono riluttanti a chiamarli comunisti, il comandante Pedro ascoltò la risposta di Rossana e per un attimo nella felicità immensa dei beati spremette una lacrimuccia che cadde sulla ridente e rivierasca cittadina. E venne giù un grande acquazzone che pulì tutto, e raffreddò l'aria calda d'inizio estate.

sabato, aprile 22, 2006

La lotta continua

LOTTA CONTINUA! c'era scritto sugli argini di cemento armato del torrente Cacarello che scorreva in mezzo al paese. Da cinquantanni erano in due a scorrere, lui e la ferrovia, tagliando in due le case, sponda su sponda. Poi un giorno, trentanni prima il Cacarello aveva pensato bene di gonfiarsi tutto, aveva detto: -Adesso faccio l'alluvione della madonna bastardi, v'affogo tutti come a Firenze- col risultato di buttare un po' di pantano, far smottare l'Aurelia e riempire di zanzare i campi che presto sarebbero diventati castelli di monolocali. Comunque aveva fatto il furbo in un momento brutto per l'Italia, c'era gente in giro -purtroppo anche in sale di giunta- che posta di fronte a un problema aveva un unica grande risposta ideologica: CEMENTO ARMATO. Non ci sono case per i poveri? frana un monte perchè abbiamo esagerato con la pulizia dei boschi? un torrentino che di merda ha anche il nome tracima per due ore? la risposta era sempre una. In effetti solo a pronunciarlo, uno si sente più sicuro, percepisci la stabilità. E la percepì anche il Cacarello, che in capo ad un annetto si vide imbragato da sti mutandoni di cemento grigi e squallidi che uno per forza se c'ha vent'anni e qualche idea per la testa ci va a scrivere qualcosa, perchè, a dispetto di tutto, gli Dei dei corsi d'acqua mica son morti..
Veramente si leggeva solo L...INUA., per il tempo, mica perchè qualcuno lo avesse scancellato. Sbiadita a poco a poco, era diventata una specie di cartolina: il passato operaio e partigiano della Portofino plebea. Dall'officina Paolo, la vedeva tutto il giorno, sempre. Con il sole, quando pioveva fino, quando c'erano le nuvole grigie e gravide costipate, pure il giorno che era nevicato tanto, perchè era l'unico posto dove la neve non si era fermata. Non perchè ci fosse acqua nel Cacarello, che da quando lo avevano messo in camicia di forza s'era come rassegnato a essere un rio minore e pure un po' sfigato. Paolo c'aveva quasi trentanni e sotto sotto si voleva pure sposare, aveva visto anche la casa lì dove sarebbe sorta. Un bel condominione in periferia, dove un tempo c'era la fabbrica dei pali del telefono. Certo che si incazzava un po' quando vedeva le persiane chiuse d'inverno lì in paese, vicino a dove lavorava.
-O Paolo molla lì il mercedes e segui un po' sto signore che devo andare a prendere i ricambi- Il signore aveva le braghe a zampa di pelle, pure lise, camicia lisergica stile hawaiana, baffoni da generale prussiano di quelli cattivi e insondabili occhiali scuri. Età compresa da 30 portati malissimo a 60 con molto viagra. Dice di chiamarsi Eric, ha bisogno della macchina per il pomeriggio, è stato in paese due giorni, ma ora deve già ripartire. Dice che il freno gli da qualche problema, che non sà, che sente un rumore strano.
Erano le sei, alle sette Mauro chiude e chi s'è visto s'è visto, Ora Paolo era da solo. Ma il tizio era proprio bizzarro. Da qualche parte nella sua testa maturò una certa simpatia. E va beh, gli disse, venga tra due ore, vediamo cosa ho fatto.

Quante fichette, pensava Arnold Messner, passeggiando amabilmente col suo litrozzo di birra per le mani. Belli, però, perchè ci stava bene in mezzo alla gente normale. Lui in fondo non si sarebbe mai sposato, ma non nè che fosse una roccia e basta. E' il "lavoro", tutta sta ansia per gli sbirri, che poi il capitano di Salerno è pure mio amico, ma comunque una donna che vuoi che capisca. E non era il sesso, che per quello lui non aveva mai avuto problemi, erano le carezze di cui aveva bisogno ogni tanto, come sua nonna su a Monaco, quanti anni fa? Da quando si sentiva un po' più vecchio si cercava ste troione italiane, non ragazzine, e si pagava il lusso di parlare un po'. E allora anche loro parlavano ed era proprio bello certe volte. No, che con il "lavoro" non poteva mica fermarsi, e allora erano meglio le puttane quelle vere. E un po' di ridere.
-Eric?- -si ingegnere- -ti confermo tutto: il cavallo deve essere a Ginevra per domattina. Hai capito bene? alle sette. Ci sono problemi?- -Non ci sono mai problemi ingegnere-

Lo vide arrivare alle otto e mezza, aveva una fame bestia, ma aveva deciso di finire il lavoro. Chiara certe volte non capisce un cazzo, Paolo la ama da morire, ma certe volte proprio si rifiuta. Cazzo se devo lavorare, eh si devi lavorare.. alle 8 gli altri sono a casa a mangiare e io stasera volevo uscire, prima che torni e ti fai la doccia.. Fu all'incirca lì che decise di restare a finire il lavoro, proprio perchè era stanco morto, proprio perchè puzzava d'olio di macchina da stamattina, proprio perchè aveva una fame porca.
Gli disse che la macchina era a posto, ma c'era una cosa strana che faceva casino.
-Vede signor Eric, la macchina è nuova si vede ma sta batteria qui sopra la ruota proprio non ci dovrebbe stare stavo cercando- e intanto Paolo ficca il cacciavite di tramezza e fa leva- di toglierla per sistemarla meglio, oh ecco vede- primo click- perchè non è mica lì il suo posto, arabattata lì sotto -secondo click, sbram, cacciavite in stile catapulta scaraventa in alto la batteria, decisamente più leggera di una normale batteria, l'oggetto volante cozza contro il fanale, carambola, cade in terra e un'altro crock. Il signor Arnold Messner che rispondeva al nome d'arte di dottor Eric Stein, rimase impassibile. Le mazzette ultracompatte da 500 euri, esplosero sul pavimento catramoso dell'officina come una metafora sul denaro e Paolo non era nemmeno incredulo.
Come la stragrande maggioranza della sua generazione era ormai abituato a ogni cosa stupefacente. Eh bellissimo, pensò e poi guardò il "signor Eric".. e te che cazzo sei un narcotrafficante?
Se io fossi proprio uno stronzo adesso lo ammazzo, pensava Arnold, dietro gli occhiali.
-Hai una birra?- E Paolo che qualcosa nel periodo di silenzio lo aveva capito, andò a prendergli una birra. Quando tornò vide la batteria di scorta sul cofano. Eric gli disse di rimetterla dentro e fissarla, lui intanto gullava proprio come un tedescone da film.

Un'ora dopo, in pizzeria con Chiara, pensava a quando Eric gli aveva dato in mano 3000 euro per il lavoro. Pensava a quando gli aveva detto: se vuoi venire con me, io ho sempre bisogno di un meccanico. Già tanto che si era sputtanato tanto valeva, andavo bene pure io, ci credo.
Lui gli aveva detto no grazie, imbarazzato, come un bravo bambino davanti a una persona che si rispetta. E aveva avuto paura, in quel momento lì, e nient'altro.

giovedì, aprile 20, 2006

il romanzo di jake

Quindici giorni fa avevo l'erba. E di quella buona. Non capita spesso da queste parti, un simpatico borghetto di provincia, baciato dal mare e adibito alla costruzione sistematica di edifici colorati e squallidi nel loro aspetto artificioso. Sarebbe forse fuori luogo parlare di erba buona in questo piccolo asilo.

domenica, aprile 16, 2006

Il giorno dei morti

Il giorno dei santi arrivò con un caldo impressionante, un caldo finalmente aspettato e desiderato dai tempi della primavera. Il sole e il mare illuminavano tutto. Tutti erano un po' felici, o meglio riscaldati. Da Milano venne giù un'invasione che manco a ferragosto. I commercianti e gli albergatori presi alla sprovvista e dal sole e dai milanesi, traviati dal clima di festa che si instaurava, decisero di tenere aperto anche la sera. Fatto degno di una certa nota.
Pietro alle dieci era al nono negroni - fammi un brandy, cara..- un tempo le cameriere gli mettevano allegria. Adesso quando vedeva il malcelato terrore sulle loro faccette lampadate ci godeva in modo diverso, ci godeva nello schifo. Oltretutto a quell'ora doveva anche puzzare un casino per quella bettola del centro. Ormai non era più il suo posto, quel carruggio dove giocava da bambino, un posto per milanesi e americani in vacanza, anche il palazzo dove stava. Un posto dove non trovavi neanche più la vinaccia perchè quei bastardi non ne bevevano. Si sfasciavano il palato con i negroni. C'ho il cancro. Merda. Finì il brandy, sentiva la bocca impastata, la tipa era sull'orlo di una crisi, sfoderò un sorriso rassicurante, che fatto da un ubriacone di cinquantanni a cui mancavano tipo tre denti davanti poteva essere un tantino provocatorio, ma Pietro ce la mise tutta. - scusami cara, devo farmi passare un brutto dolore -
Lei disse che il dolore se lo stava procurando, lo disse a denti stretti e girata di sbieco, glielo disse dandogli del lei. E' una delle cose più brutte per un ubriaco leggendario farsi dare del lei. -Un altro, perfavore.- ho il cancro maledetta puttana.

Il fratello di Jennifer era arrivato nell'appartamento in centro con i 4 della compa verso le 9. In autostrada era stato tutto un tirare e tirare e tirare. Adesso erano un po' agitatelli, ma proprio cazzuti. Ricchi, belli e cattivi, senza complicazioni inutili ulteriori. La robba l'avevano presa da un ex di sua sorella, un fichetto della bocconi che arrotondava. Avevano fatto una colla, poi ne avevano venduto metà a delle troiette che facevano un Halloween, su. Uscirono di casa alle undici, sprizzavano come lucciole. Primo bar, fatto, secondo bar, fattissimo, terzo bar, merda sembra di stare in centro a Milano. Quelli che non sono di Milano li riconosci subito. Ti guardano come se fossi una merda, un po' ti odiano. Noi portiamo i soldi e loro ci odiano. Sporchi bastardi, in questo sputo di villaggio, quarto bar, finito il tour. Riparte un'altra vasca, ha visto quelle, porcodio che voglia di scopare. Vai in baia, devo pisciare. Ecco in baia, bellissima per l'amordidio, ma che cazzo me ne frega. Tommy sta facendo una pista attaccato al muro per il vento. Guarda che ti vedono. Non me ne fotte un cazzo posto di merda. merda. merda.

Merda. Il dottore aveva detto che c'erano due anni forse tre se faceva le cure. See le cure. Non prenderò niente. Che bella la baia. Ed era proprio bella, con la luna lassù sopra il campanile. Quando aveva vent'anni in notti come questa d'estate si portava le straniere rimorchiate di giorno sul gozzo. Le portava là oltre la scogliera. E lì poi era semplice, quando facevano le difficili le cacciava in mare, e glielo chiedeva di nuovo, glielo chiedeva come una forma di pagamento per il giro in barca. Che scopate poi, a ventanni duravi tutta la notte. Tutta la notte.
Pietro era lì in mezzo alla spiaggetta, lui, la luna e il vento. Scene tipo suo padre che era pescatore. Per quello aveva ancora l'appartamento e non l'aveva venduto ai milanesi, anche se davano tanti bei soldi, anche se Pietro non aveva figli.

Tommy va a sbattere contro quella rumenta, cos'è? puzza di alcool da far schifo.
-ragazzi, potreste stare un po' più attenti- disse Pietro
Loro erano quattro. Loro erano gonfi e duri come enormi palloni di bamba e cominciarono a ridere. Ridevano mentre lo guardavano a terra, guardavano i calci, un fottio di calci, quella spazzatura umana che urlava. E loro lì che c'era anche buio e non si vedeva niente. Solo un po' di rumore a volte; si calciavano anche tra di loro, ma non importava. Stettero lì a divertirsi per altri cinque minuti. -Basta che se no muore sta merda- disse il fratello di Jennifer. In fondo era lui il padrone di casa. Poi altra vasca altro tour.

Pietro non riusciva a camminare molto bene. Ma era ubriaco marcio e non sentiva niente. Però ci vedeva bene, aveva visto bene. Oh si, e conosceva anche una voce che aveva sentito. Oh si, sboccava sangue e rideva, sboccava sangue e pensava.
Dopo mezz'ora stava un po' meglio. Quando lo aveva chiamato, Draghi non aveva capito bene, però era subito venuto. Il ferro lo teneva in un giornale piegato, come nei film, ed era un po' buffo alle tre di notte.
Pietro e Draghi andarono a casa, ma non entrarono nell'appartamento di Pietro. Draghi fumava una siga girata, bussò alla porta al piano di sopra, con una certa forza. Il fratello di Jennifer aprì la porta piuttosto spaventato, potevano essere i suoi. Ma non erano i suoi e fu in effetti un po' sorpreso.
Draghi li puntava con la pistola, mentre Pietro faceva il giro di ognuno di loro e con il coltello li spogliava. Tommy si pisciò sotto.
-Vedete ragazzi è l'educazione. Noi siamo gente di mare, gente di una volta. Fa tutto parte della cartolina che le vostre madri cagne si comprano quando arrivano. Ma anche noi, sapete, siamo cattivi. Siamo proprio cattivi e ora- dosò abilmente la pausa, aveva sempre sognato di fare l'attore -vi tirate tutti giù le mutande-
-Ho seicento euro. vi diamo dei soldi..- il fratello di Jennifer sudava, stava male, la nausea era combattuta dall'adrenalina, le sue mani ora tremavano -vi diamo tutti i soldi che abbiamo, perfavore lasciateci in pace-
-Non vogliamo soldi caro.. educazione civica caro..- Draghi li puntava, con un ghigno molto molto sincero -ora tutti nudi ragazzi che vi insegnamo un giochino da fare al liceo..-

La birra se l'erano comprata dal Siciliano, erano le sei di mattina, a Pietro gli faceva pure male il fegato, dove era il cancro. Però ora non ci pensava che doveva morire, era semplicemente soddisfatto.
-Non avremo esagerato?- gli disse Draghi con lo stesso ghigno di prima, aveva il giornale e il ferro sotto l'ascella.
-No caro.. è l'educazione caro.. Non preoccuparti, non racconteranno nulla di quello che gli è successo.. e poi non lo sai che è l'ultima moda tra i fichetti pieni di soldi? sucar dei cazzi e sbomballarsi di coca.. Tra di loro stai sicuro non lo avevano ancora fatto...- e scoppiò in una grande risata, mentre il giorno dei morti comiciava.

venerdì, aprile 14, 2006

Scritti sul muro

C'erano dietro a farla da più di un ora. Fuori c'era un freddo cagnaccio, non fosse stato per il mare sarebbe di sicuro nevicato. Magari.. la neve.. La polvere la raccoglieva Marco sopra il tavolo, la cantina non era troppo grande e aveva solo una luce, per cui lui stava sotto il neon, mentre Matteo limava il tubo. Quando la polvere fu pronta Marco disse di prendere la saldatrice. Ancora una volta a limare, poi con due punti attaccarono a capo del tubo una piastrina di lamiera liscia a quadrato.
Marco aveva gli occhi scuri, non aveva mica fatto dei grossi progetti per sto giochino, no, però non era la prima volta che ne faceva una. Anche l'anno scorso alla fine della scuola. Un delirio. Una botta pazzesca.
Matteo per scherzare si accese due sigarette insieme e si mise pippare come una ciminiera. - dove hai messo il pornazzo?- Marco disse che aveva quasi finito e che non c'era tempo per farsi le seghe.
-Ieri me ne sono sparata una prima di andare a scuola, mi sono ricordato di jennifer hai presente? penso sempre a quello. Alla sera del compleanno di Anna. Era così bella in costume ci potevo troppo andare ti ricordi? poi è arrivata quella merda di Robby..-
E si ricordo, ricordo tutto. E tu non sai povero imbecille come era bello toccarla. Non lo sai che cos'era. Marco la sera del compleanno di Anna per quanto fosse il ragazzo di Anna aveva scopato come un matto con Jennifer, mentre la metà dei suoi amici si stuonava il cervello con Robby. Anche Anna. Poi Jennifer ritornava a Milano, come al solito. Una scopata galattica, tipo dieci minuti da dio e lei urlava un casino.. l'aveva fatta urlare un casino.
Marco alzò gli occhi dal tubo, Matteo aveva trovato il pornazzo e se lo stava analizzando. ''Ecco un imbecille, un completo coglione. Gli vedeva la bandiera italiana tatuata sul giaccone, quest'estate era un capellone e adesso guardalo lì con la testa rasata a pelo, bello ordinato. Lo credeva facile quel coglione. Quando poteva si faceva tutte le sgazze che poteva. La mente deve restare lucida e poi io non fumo.''
Marco disse di prendere la benzina, che era quasi finita, era quasi pronto tutto. Il cretino sghignazzava come quella volta che avevano fatto una svastica enorme sul muro della chiesa. Ben fatto, ben fatto. Lui non era fascista era nazionalista, cioè negri di merda, ecuadoregni di merda quelle cose lì. Il resto erano stronzate per professori, per la scuola. Prima a Marco gli era quasi venuto duro pensando a Jennifer, un po' pure pensando ad Anna. Lei non l'aveva mai saputo, cretina come tutti. Come tutti.
Matteo chiede adesso come si dovrà appizzare, lui non capisce. Ora te lo spiego io coglione passami la candela che la scaldiamo. Marco è un duro però le mani gli fanno un male bestia, eppure sta fermo vuole urlare ma sta fermo, la figura di merda sarebbe intollerabile, doveva andare liscio tutto. E poi la cera si modellava bene, non ci aveva pensato tanto, però la cera era stata proprio una bella idea, geniale per sigillare tutto.
Uscirono dalla cantina nel cortile del palazzo, l'unica preoccupazione era che non li vedesse la madre di Marco e lui guardava fisso su, ma poi sua madre non c'era alla finestra o non c'era e basta ed era lo stesso.
Arrivarono al sottopasso in dieci minuti, Matteo aveva sghignazzato per tutto il viaggio reprimendo gli scoppi più grossi. Marco un po' lo odiava. Giusto un po'.
Adesso arriva. Disse Marco. Solo qualche minuto.
Quella merda di Robby aveva un kilo di prizzo tagliato in cubetti tipo regoli come quando era bambino. L'ispirazione era parte del mestiere. Robby aveva deciso di smettere di farlo circa una decina di volte. Quella volta era l'undicesima. Il vagone su cui viaggiava era deserto.
Marco non disse nulla. -No, che cazzo fai?- urlava Matteo
Do fuoco a fazzoletto non ti preoccupare. Non ti preoccupare imbecille. Non ti preoccupare mai.
Appena scese dal treno Robby sentì un un botto tipo gomma di camion che esplode un po' più sorda e poi qualcos'altro, ma subito subito non capì bene. Polfer, polfer agitata, polfer distratta. Ok è l'ultima volta lo giuro.

Ciao ma. dove cazzo è? matteo girò in casa, mà? mà? dove cazzo sei mà? che fai mà dormi? dormi mà?

Crepe sul mare

C'è un grosso capannone prefabbricato di quelli che saltano su dal giorno alla notte, come i funghi. E' una delle pareti laterali lunghe, qualcuno ha scritto un grande nome per un ragazzo caduto, decine d'anni fa; è lo stesso nome scritto sul muraglione di cemento dietro il capannone, ma ora non si vedeva pià dalla strada. Comunque ora davanti alla parete sopra il marciapiede c'era una vecchia vespa blu, in posa eroica anni 50'. Non c'è nessuno intorno, ma è normale, la fabbrica l'hanno costruita in un piccolo valletto alle pendici di un bosco di castagni, arrampicato su un crinale. In cima alla collina, salendo sù uscendo dal bosco, su un pratone d'erba bruciata dal sole tutto l'anno, i ragazzi ci vengono a far l'amore d'estate, le rare volte che glielo suggerisce l'incoscienza o la libertà. Ma giù nel valletto non ci veniva mai nessuno, neanche a cercare i funghi. Il silenzio metteva paura lì nell'ombra e i castagni di frontiera, le quercie sentinelle erano particolarmente spavaldi.
Non c'è nessuno. La fabbrica l'hanno chiusa l'anno scorso, anche se andava bene, anche se gli operai pieni di lena, con le case nuove appena inaugurate giù al fiume, si guadagnavano la garanzia per vivere. Il magazzino è vuoto dentro, due mesi fa c'erano venuti un paio di marocchini a dormirci. Poi una sera dei delinquenti erano entrati con la refurtiva mentre quelli dormivano e ne era nata una scena comica generale, per quanto lì nel momento non si divertì nessuno. Finì che i sopravvissuti africani abbandonarono la casa provvisoria per andare in un appartamento nei vicoli con altri tre. Gli altri li legheranno a capodanno per un banale incidente.
Sopra la vespa blu c'è una stratocaster rossa, con alcune microscopiche righe di lato e sul culo. Lui le conosce a memoria, le conosce con affetto, con nostalgia.
La strato l'ha lasciata lì, ora è dentro.
Lei è via, è con qualcuno. Con molti o pochi non importa, ha gli occhiali da sole nuovi, sta ridendo e non soffre. Lei sa che c'è un tempo per ogni cosa. Le rivoluzioni chiedono sangue come prezzo, non risate. I giocattoli lei li ha distrutti ad uno ad uno fino a che la sua camera fosse uguale al suo cuore. Matura, caotica e sfasciata. Poi è uscita, il resto sono corpi e nomi. Il resto è lei stasera nuda davanti allo specchio, i lunghi graffi vivi o spenti.
Lei è via, il veleno è appena iniziato a fluire, scorrendo lentamente lui è uscito zoppicando con le ginocchia molli. Anche gli alberi sono sfocati. Lei gli scorre dentro mentre cavalca il sentiero a caso. Lui la sente, sente dov'è, ed è tutto ciò che conta. E' un'immagine, il secondo giorno, alla strada del porto, quando gli veniva incontro in mezzo a tanta gente. Lui era felice. Il bosco finisce, non finisce l'ombra, la maglietta l'ha persa nel bosco sta sudando sta per cadere. Perchè tutto è grande e piccolo insieme, come grandi e piccoli dei. Laggiù si vede il mare.