martedì, settembre 26, 2006

Narciso e Boccadoro

Spesso mi capita di
sognare il paese
che esplode con me
in un fuoco
di paglia
di rabbia
di noia
e io non mi sveglierò

A volte vorrei
ancora
un pezzo di noi
da inchiodare
al letto per non perderlo mai
nei finti entusiasmi
pensarti un po' mia

Tu
non
esisti
e hai preso la parte più buona
mentre leccavo
di te
il sapore che c'era
è la cosa più vera
che io sento in me.

che io sento in me.

venerdì, settembre 22, 2006

F.

Ora, nell'ora che scorre
eguale a se
dove si sono persi i fremiti
i bagliori di luce
tra le foglie
come le risposte, i motivi
che mi son dato allora
e tu li conosci
tu che sai tutto e niente
e non hai bisogno
di torturarti la carne
per fluire con tutti gli altri
ora, se fossi io il malato
cosa ci sarebbe di vero?
me lo sai dire tu?
grazie di tutto mi potresti
rispondere, il bar sta
per chiudere e l'unica cosa vera
è che non ho bisogno di te.
Neanche io, sai ho bisogno di me,
solo a volte
vorrei respirare
ancora un po'.

martedì, settembre 19, 2006

Pater noster

Era una sera di luglio, mi ricordo
il Padre venne e mi disse
che sarebbe stato con me sempre
che non sarei mai stato solo.
Ma venne l'autunno
e lei morì di qualcosa che non potevo capire
e io piansi mentre toccavo quel legno vuoto
scivolando lentamente
sui gradini della chiesa
mi trovai nella mia vita
immobile
così passarono gli anni
e ogni volta che vedevo le stelle
cadere
pensavo a quel suo viso meraviglioso
a quei suoi occhi di vita
che non c'erano più
e le lamette incidevano il suo nome
sulla mia pelle
fino a scriverla tutta
finchè non ci fosse più pelle
perchè il vento che mi fischiava addosso
riversasse su di me
tutta la pena del mondo
e nonostante questo sapevo ancora ridere.
Poi una notte il silenzio
mi piombò sopra
come litri di un vino che era sangue
le mie colpe innocenti
mi fecero urlare il suo nome:
Perchè mi hai abbandonato - dissi - perchè
sono così solo?
Ma lui non rispose una parola
e le nubi gravide cominciarono
a pisciare sopra di me
acqua sporca e tutto il prezzo che potevo pagare
pensare di non pensare più:
lui che non c'era
lui cambiò la mia vita.

lunedì, settembre 18, 2006

una canzone disperata

Il sole cede la sua stretta
non ho bisogno di lui per illuminarmi
i tuoi sospiri in quella notte
si facevano liquidi
come ogni tuo odore
che conosco sulle dita
e che non riesco più a ricordare
è così breve la gioia
è così distante il perdono.
Non basterebbe una preghiera
a lacerare il sonno
solo questo è vero
si può ridere a crepapelle
anche mentre si vola
come solo gli uomini sanno volare
cadendo lentamente
come tutto il tempo del mondo.

domenica, settembre 10, 2006

Poi venne settembre

- Vuoi che non ci vediamo più?
- no.
- perchè?
- perchè ti amo. Dice lei e non è importante se è vero o no.
- Mi amavi anche ieri sera, eh? quando sapevi che ero solo, quando sapevi, lo sapevi benissimo che stavo male? dice lui e la guarda negli occhi anche se non può.
- Ti amavo di più ieri sera, perchè sapevo che eri solo e che stavi male. dice lei ed è tranquilla. Sembra che nulla sia importante, perchè c'è lei lì ora e questo è vero anche per la ragazza.
- Perchè? dice lui e dentro la domanda c'è tutto il vuoto che si può accumulare in quegli spazi infiniti delle notti insonni. Quegli incubi cupi e interminabili che riprendono improvvisamente come crisi di tosse, come singhiozzi, come il pianto.
- Perchè sei tu. rispose lei.

Ecco tutto questo succede dopo che loro hanno fatto l'amore. E voi non potete capire cosa è veramente successo, perchè nessuno nella storia lo ha mai fatto se non loro due, prima, di là, nella camera. Pensate a qualcosa che scuota il vostro essere animale che in tutto vi acceca e vi coinvolga, qualcosa che sia piacere intenso, forse riuscite anche a pensare che questo sia perchè siete in due. Perchè è facile, è immediato e rasenta da vicino il concetto che avete di sublime. Ma non è così, sapete? è qualcosa che ha molto a che vedere con l'oblio. Quando loro due erano di là, in camera, non erano più in questa terra. Non ci sarebbero stati neppure se fosse scoppiata una guerra, se fosse venuto un terremoto, nemmeno se fosse caduto il sole. E quando tutto fosse collassato e ridotto ad un punto solo che di nuovo fosse nato e tutto, tutto fosse ricominciato per dare una nuova memoria alla vita. Quando fosse finalmente tornato il tempo alla fine del cerchio, loro sarebbero stati lì dove erano, di là nella stanza, in un altro luogo, in un altro tempo.

- Perchè continui a dirlo? lui le chiede ridendo cattivo e vorrebbe piangere, Perchè se puoi esserci e non esserci tutte le volte che ho bisogno che tu ci sia? Quando smetterà, sarà come è adesso, come è adesso continuerò a sognarti mia, solo a sognarti e questo sarà tutto?
- No, dice lei tranquilla, carezzandogli la guancia, no, ma tu sai che devo andarmene.
Lui ora non parla. Guarda il soffitto in silenzio. Niente è importante. Niente è veramente importante, questo è il vero messaggio di quasi tutto. La comunicazone verte essenzialmente su questo. Una cosa è vera e ha tutte le sue belle o brutte conseguenze solo ora e qui. Non domani, non il giorno dopo, mai più. Lui guarda le righe del soffitto e sa che è stupido è stupidissimo quello che sta pensando. Sa perfettamente che passato un mese tutte le cose saranno diverse. Sa benissimo che tra un anno nulla avrà più un collegamento con questo, se è così che deve andare. Ma il ragazzo adesso si sente perduto. E la cosa buffa è che ora niente è importante quanto quello che prova. Perchè è in astinenza da felicità, un male terribile, un mare di sensi di colpa, un gigantesco processo alla libertà di scelta.

Lei deve andarsene. Se ne andrà presto. E' scaduto l'affitto. Sua madre non ha più un lavoro. Suo zio sta morendo e si è deciso a far la grande rivelazione solo la settimana prima. Lei deve andarsene anche se non può o non vuole. In fondo tutti questi sogni erano solo fuoco, fuoco bellissimo, ma solo fuoco. Piacenza è lontana, è fredda, fottuta e lontana. Lei lo sa, a tratti vorrebbe mentirsi, dire che l'ha sempre saputo. Vorrebbe dirgli - doveva andare così non capisci? sto solo spegnendo il fuoco. E così tutto muore nella cucina dove sono seduti ai lati opposti del tavolo. L'orologio va piano e non c'è senso in come vanno le cose.

Lui adesso è in strada, l'ora è quella di confine tra la notte e la mattina, nessuno in giro. Nessuno se non si sa dove andare. Sta ridendo mentre cammina, sulla moto mentre arriva ha un ghigno proprio divertito.
- Com'è ? chiede Robbie curioso della visita inaspettata.
- Di merda - risponde ghignando - ho bisogno di un favore.
Robbie lo ascolta. Interessato, preoccupato, molto preoccupato, canna, situazione sotto controllo.
- Ok, adesso ricominciamo da capo, e smetti di dirmi delle cazzate, ok?
- Le cose sono così, sono così come te le ho dette
- E' colpa di quella troietta? e per questo? non dirmi che è per questo.. sei tutto meno che coglione.
- Mi devi un favore Robbie.
Robbie come tutti i consumatori di marijuana ha un senso profondo e religioso della droga. Certo è stato un percorso irto di difficoltà per raggiungere questo stato di equilibrio, un percorso di distrazioni, di tentazioni. Senza dimenticare il brivido della scoperta, dell'estremo limite. Robbie era un viaggiatore sacerdote, o almeno interpretava questo ruolo. Solo in serate specifiche che coincidevano con le serate che ricavava per sé. Perciò le cose diverse dall'erba lui le considerava eretiche. Era capitato di avere delle pastiglie, ma lui le aveva sempre rifilate a persone odiose e che considerava imbecilli. A volte le aveva pure regalate, e non avrebbe mai regalato un grammo di gangia, lei non la regali, la fumi insieme. Il suo amico lì davanti era a pezzi, si vedeva che dormiva poco, e puzzava di amaro. Robbie conosce la situazione, il suo amico è cascato nel magico mondo dell'autolesionismo.
- Dai prendi il legno e suonami un pezzo, intanto ne faccio una
- NO Robbie
Si alza e va verso la porta. Robbie cerca di calmarlo, ma non c'è verso, sembra che niente sia importante. E' a pezzi, pensa, è a pezzi. Per quanto la paranoia stia per prendere il sopravvento c'è una risata da 5 del mattino che gli bussa sulla nuca. Esplode e il suo amico apre la porta e fa per andarsene.
- Prova da Carmine, gli dice, l'amico di Matte, ma è una cazzata, gli dice, è proprio una cazzata pensa. Chiude la porta e ripiomba nella sua solitudine dorata.

E' finita, pensa, un paio di giri ancora. Fila in saletta, prende la chitarra e torna in centro. Matte era lì con Carmine, avevano la faccia tirata. Era un bene stare sul cazzo a tutti e due. Lui diede i soldi, rise di nuovo un po' sbruffone.
- Vattene, gli disse Carmine con stizza. Infilò la roba dentro la custodia della chitarra e salì sulla vespa blu.
Il giorno dopo si svegliò. Poi si riaddormentò e fece in modo che niente potesse svegliarlo per motivi stupidi. Si alzò verso le sei, prese la vespa e si diresse senza una direzione a vuoto. L'unica cosa sicura era che da giorni non faceva che condire ogni suo pensiero con lei. E adesso, invece, non stava pensando a nulla. E' finita pensa, guarda le macchine, guarda le mamme coi bambini, guarda il deserto. Gli venne in testa il posto più squallido del mondo. Un fabbrica abbandonata ai piedi di una collina dove da piccolo andava, per salire e salire nel bosco e finire a vedere il mare. Quando arrivò la trovò così, odiosa e pietosa come tutto il resto. E niente era più importante. Poi entrò e fece quello che fece.

sabato, settembre 09, 2006

millenovecentottantanove

C'è questa stanza, in questa casa distante, solo la strada è rumore, poco tuttosommato. La casa è distante da tutto, troppo lontana e così vicina a qualunque cosa di meraviglioso si possa nascondere nella vita. La stanza ha le persiane chiuse, è giorno, ma la luce è accesa. In casa, a parte il bambino seduto davanti al tavolo dei compiti, non c'è nessuno. I genitori lavorano. I compiti sono sufficentemente facili da essere ritenuti idioti, inutili. Se una cosa la sai fare, la sai fare e quando hai voglia solo di scoprire qualcosa di nuovo, qualcosa che neanche conosci hai solo voglia di uscire, di andare via.
Il tempo è lentissimo, è scandito dai gatti che calpestano il corridoio. Sono un ottimo diversivo di solito. Ad esempio un gatto è molto più divertente da pestare perchè per chissà quale motivo danno sempre la maledetta impressione che ti disprezzino proprio quando anche tu ti disprezzi. I gatti così naturalmente, i gatti che conosce il bambino s'intende, sono docili e liberi allo stesso tempo, e sembravano rinfacciarglielo sempre.

Il bambino, non farà più che le elementari, decide che è ora di fare una merenda. Va in cucina e con un pò di ingengno si prepara un té. Poi si risiede sullo stesso tavolo dei compiti e comincia a ingozzarsi di biscotti. Mentre mangia così tanto, mentre sente tutta la spazzatura che sta mangiando sotto i denti, si sente soddisfatto, è una sensazione piacevole. Accende la televisione, rete pubblica lasciata da ieri sera, il telegiornale. Il telegiornale gli ricorda un pomeriggio di qualche anno prima, quando era morto Pertini, il presidente. Doveva essere domenica perchè i suoi erano a casa tutti e due e lui voleva uscire anche se era pioggia. E li aveva quasi convinti, quando improvvisamente era morto il presidente e allora avevano attaccato quel cazzo di telegiornale e si erano messi a vederlo per tutto il pomeriggio. Lui col tempo, anche dopo, associò la noia a quel pomeriggio, anche quando lui stesso fece cose analoghe.

Cambia canale immediatamente e in sequenza molto veloce si sbrodola tutto quello che sta ancora masticando addosso afferra un gatto passante e lo usa come una salvietta sulla maglietta con lancio finale tipo bomba molotov. Si sente pieno e si sente pure un po' in colpa e allora va al cesso e sbocca tutto o quasi. Poi si mette a cercare il gatto-salvietta per tutta la casa con l'intenzione di pulirlo e di fargli le coccole, ma quel bastardo c'ha quell'aria da nobilotto scozzese incazzato e sfugge ad ogni tentativo di cattura; così il bambino quando riesce a raggiungerlo gli sferra un calcio potentissimo, il gatto sfrutta sapientemente la spinta e si caccia fuori dalla finestra. La casa è a due piani, la finestra in questione è al secondo piano. Dieci metri non sono uno scherzo neanche per un gatto. Il bambino si sporge e guarda sotto il gatto non c'è. Il gatto si sta leccando la coda con una certa classe abbarbicato su un albero, proprio lì di fronte alla finestra. Il bambino sale sul cornicione, guarda il gatto poi guarda sotto riguarda il gatto e maledice la distanza. Aggrappato agli stipiti della finestra si sporge leggermente. In questo momento ovviamente raggiungere il gatto non è più la cosa importante. La cosa importante è.. Qual'è? si chiede. Improvvisamente, in equilibrio precario sul cornicione della finestra al secondo piano di una casa di campagna piuttosto isolata viene investito dall'idea che di importante non c'è proprio niente. Che fin da ora sa tutto della sua vita, sa che si laureerà, sa che si sposerà, sa che farà dei figli, sa che forse si divorzierà. Ha intuito dai telefilm che esiste una cosa chiamata amore che un giorno gli toccherà, ha intuito dai giornaletti che hanno trovato sul tetto della palestra che esiste una cosa molto divertente e "proibita", "scopare", anche se non gli è ancora del tutto chiara la dinamica. Tutto sazio di tutte le cose che dovrà prima o poi fare nella vita ripiomba di nuovo nell'unica cosa vera che c'è in quel momento lì sul cornicione. C'è che lui è solo e ora capisce ora sa che sarà solo anche quando mentre lo sta pensando allunga una gamba nel vuoto e non si aggrappa più a niente. Perchè sei solo sempre. E' una giornata calda di giugno e il bambino sta perdendo sangue stravaccato sul terreno di sotto, ma apre gli occhi e non ha paura. Non sa bene come, ma si rialza e rientra in casa. Nessuno, ma ora ha voglia di compagnia mentre si pulisce e accende la televisione. Non c'è un cazzo manco sulle private gira sul primo e c'è il telegiornale, è la cina. C'è un bordello di sti cinesi radunati davanti a una specie di castello. Le bandiere del castello le conosce, riconosce la falce e martello perchè i suoi sono comunisti tutta la famiglia e nonno partigiano. Gli hanno spiegato che i comunisti sono per la libertà, per la giustizia e per l'uguaglianza. E nessuno come un bambino sfigato delle elementari che vive lontano kilometri dal primo compagno di classe ha un'esigenza così assoluta di queste cose. Lui, il bambino, ha infatti deciso di essere comunista. Ma adesso vede una cosa strana.. Le immagini non sono più della gente, adesso c'è solo un tipo piantato lì in mezzo alla strada e davanti a lui c'è una fila di carri armati che stanno arrivando e il tipo sventola un sacchetto giallo e li fa fermare. I carri armati che sono enormi, si vede che vorrebbero continuare ad andare avanti, ma lui si mette in mezzo e non li fa passare. Il bambino è commosso, quella è una cosa vera, quello sta accadendo e il tipo è la cosa più simile ad un eroe che lui abbia mai visto.

Era il 1989, l'anno in cui crollò il comunismo, il socialismo reale e con esso bruciarono tutte le idee, magari non necessariamente legate, tutti i sogni, tutte le speranze di un mondo diverso. Era il 1989 le illusioni svanivano pensò il bambino quando divenne grande, era il 1989 e nacque una stella che per il finire di un'estate gli avrebbe infiammato il cuore.