domenica, settembre 10, 2006

Poi venne settembre

- Vuoi che non ci vediamo più?
- no.
- perchè?
- perchè ti amo. Dice lei e non è importante se è vero o no.
- Mi amavi anche ieri sera, eh? quando sapevi che ero solo, quando sapevi, lo sapevi benissimo che stavo male? dice lui e la guarda negli occhi anche se non può.
- Ti amavo di più ieri sera, perchè sapevo che eri solo e che stavi male. dice lei ed è tranquilla. Sembra che nulla sia importante, perchè c'è lei lì ora e questo è vero anche per la ragazza.
- Perchè? dice lui e dentro la domanda c'è tutto il vuoto che si può accumulare in quegli spazi infiniti delle notti insonni. Quegli incubi cupi e interminabili che riprendono improvvisamente come crisi di tosse, come singhiozzi, come il pianto.
- Perchè sei tu. rispose lei.

Ecco tutto questo succede dopo che loro hanno fatto l'amore. E voi non potete capire cosa è veramente successo, perchè nessuno nella storia lo ha mai fatto se non loro due, prima, di là, nella camera. Pensate a qualcosa che scuota il vostro essere animale che in tutto vi acceca e vi coinvolga, qualcosa che sia piacere intenso, forse riuscite anche a pensare che questo sia perchè siete in due. Perchè è facile, è immediato e rasenta da vicino il concetto che avete di sublime. Ma non è così, sapete? è qualcosa che ha molto a che vedere con l'oblio. Quando loro due erano di là, in camera, non erano più in questa terra. Non ci sarebbero stati neppure se fosse scoppiata una guerra, se fosse venuto un terremoto, nemmeno se fosse caduto il sole. E quando tutto fosse collassato e ridotto ad un punto solo che di nuovo fosse nato e tutto, tutto fosse ricominciato per dare una nuova memoria alla vita. Quando fosse finalmente tornato il tempo alla fine del cerchio, loro sarebbero stati lì dove erano, di là nella stanza, in un altro luogo, in un altro tempo.

- Perchè continui a dirlo? lui le chiede ridendo cattivo e vorrebbe piangere, Perchè se puoi esserci e non esserci tutte le volte che ho bisogno che tu ci sia? Quando smetterà, sarà come è adesso, come è adesso continuerò a sognarti mia, solo a sognarti e questo sarà tutto?
- No, dice lei tranquilla, carezzandogli la guancia, no, ma tu sai che devo andarmene.
Lui ora non parla. Guarda il soffitto in silenzio. Niente è importante. Niente è veramente importante, questo è il vero messaggio di quasi tutto. La comunicazone verte essenzialmente su questo. Una cosa è vera e ha tutte le sue belle o brutte conseguenze solo ora e qui. Non domani, non il giorno dopo, mai più. Lui guarda le righe del soffitto e sa che è stupido è stupidissimo quello che sta pensando. Sa perfettamente che passato un mese tutte le cose saranno diverse. Sa benissimo che tra un anno nulla avrà più un collegamento con questo, se è così che deve andare. Ma il ragazzo adesso si sente perduto. E la cosa buffa è che ora niente è importante quanto quello che prova. Perchè è in astinenza da felicità, un male terribile, un mare di sensi di colpa, un gigantesco processo alla libertà di scelta.

Lei deve andarsene. Se ne andrà presto. E' scaduto l'affitto. Sua madre non ha più un lavoro. Suo zio sta morendo e si è deciso a far la grande rivelazione solo la settimana prima. Lei deve andarsene anche se non può o non vuole. In fondo tutti questi sogni erano solo fuoco, fuoco bellissimo, ma solo fuoco. Piacenza è lontana, è fredda, fottuta e lontana. Lei lo sa, a tratti vorrebbe mentirsi, dire che l'ha sempre saputo. Vorrebbe dirgli - doveva andare così non capisci? sto solo spegnendo il fuoco. E così tutto muore nella cucina dove sono seduti ai lati opposti del tavolo. L'orologio va piano e non c'è senso in come vanno le cose.

Lui adesso è in strada, l'ora è quella di confine tra la notte e la mattina, nessuno in giro. Nessuno se non si sa dove andare. Sta ridendo mentre cammina, sulla moto mentre arriva ha un ghigno proprio divertito.
- Com'è ? chiede Robbie curioso della visita inaspettata.
- Di merda - risponde ghignando - ho bisogno di un favore.
Robbie lo ascolta. Interessato, preoccupato, molto preoccupato, canna, situazione sotto controllo.
- Ok, adesso ricominciamo da capo, e smetti di dirmi delle cazzate, ok?
- Le cose sono così, sono così come te le ho dette
- E' colpa di quella troietta? e per questo? non dirmi che è per questo.. sei tutto meno che coglione.
- Mi devi un favore Robbie.
Robbie come tutti i consumatori di marijuana ha un senso profondo e religioso della droga. Certo è stato un percorso irto di difficoltà per raggiungere questo stato di equilibrio, un percorso di distrazioni, di tentazioni. Senza dimenticare il brivido della scoperta, dell'estremo limite. Robbie era un viaggiatore sacerdote, o almeno interpretava questo ruolo. Solo in serate specifiche che coincidevano con le serate che ricavava per sé. Perciò le cose diverse dall'erba lui le considerava eretiche. Era capitato di avere delle pastiglie, ma lui le aveva sempre rifilate a persone odiose e che considerava imbecilli. A volte le aveva pure regalate, e non avrebbe mai regalato un grammo di gangia, lei non la regali, la fumi insieme. Il suo amico lì davanti era a pezzi, si vedeva che dormiva poco, e puzzava di amaro. Robbie conosce la situazione, il suo amico è cascato nel magico mondo dell'autolesionismo.
- Dai prendi il legno e suonami un pezzo, intanto ne faccio una
- NO Robbie
Si alza e va verso la porta. Robbie cerca di calmarlo, ma non c'è verso, sembra che niente sia importante. E' a pezzi, pensa, è a pezzi. Per quanto la paranoia stia per prendere il sopravvento c'è una risata da 5 del mattino che gli bussa sulla nuca. Esplode e il suo amico apre la porta e fa per andarsene.
- Prova da Carmine, gli dice, l'amico di Matte, ma è una cazzata, gli dice, è proprio una cazzata pensa. Chiude la porta e ripiomba nella sua solitudine dorata.

E' finita, pensa, un paio di giri ancora. Fila in saletta, prende la chitarra e torna in centro. Matte era lì con Carmine, avevano la faccia tirata. Era un bene stare sul cazzo a tutti e due. Lui diede i soldi, rise di nuovo un po' sbruffone.
- Vattene, gli disse Carmine con stizza. Infilò la roba dentro la custodia della chitarra e salì sulla vespa blu.
Il giorno dopo si svegliò. Poi si riaddormentò e fece in modo che niente potesse svegliarlo per motivi stupidi. Si alzò verso le sei, prese la vespa e si diresse senza una direzione a vuoto. L'unica cosa sicura era che da giorni non faceva che condire ogni suo pensiero con lei. E adesso, invece, non stava pensando a nulla. E' finita pensa, guarda le macchine, guarda le mamme coi bambini, guarda il deserto. Gli venne in testa il posto più squallido del mondo. Un fabbrica abbandonata ai piedi di una collina dove da piccolo andava, per salire e salire nel bosco e finire a vedere il mare. Quando arrivò la trovò così, odiosa e pietosa come tutto il resto. E niente era più importante. Poi entrò e fece quello che fece.

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