domenica, gennaio 27, 2008

i bambini prima o poi si annusano

mi svegliai con le labbra appiccicose, sapevo di cioccolato, laura non c'era. mi aveva spalmato, credo, della nutella in faccia prima di andarsene. L'appartamento era silenzioso, in cucina la finestra era aperta e faceva freddo. Un bel po' di caffè sul pavimento, capì che quell'handicappata aveva trafficato. a un tratto si aprì la porticina del mobile dove tenevamo la spazzatura, uno strabordante sacco si rovesciò sul pavimento. bestemmiai. ero distrutto dal viaggio e con le poche forze misi un minimo di ordine. dopo un'ora c'era ancora troppo casino, io intanto ero vestito, mi lasciai la porta alle spalle e andai in centro.

Incontrai Lore al bar, stava parlando con Maria. Erano preoccupati per Tano, da giorni non si faceva vivo nè andava al lavoro. lei lo aveva sentito il giorno prima ma al telefono lui aveva fatto un complicato discorso sulla salvezza dell'anima, voleva convertirsi, diceva.
- non c'è da preoccuparsi, è normale che ogni tanto gli vengano delle paranoie, con tutto quello che si fa.
- in sti giorni è anche uscito lo strozzino, non lo tengono più in galera.
- dite che si è inquietato per questo?
- no credo che il problema sia che lo hanno beccato mentre faceva passare un chilum di bocca in bocca a dei pazienti della casa di riposo
- si a volte fa così.. lo hanno licenziato?
- no, ma lo hanno detto a suo padre..
- ah.

in quei giorni la televisione e i giornali facevano un gran parlare dei trentenni che non riescono a staccarsi dal nucleo familiare, tromboni psicologi con le pezze al culo si affacciavano a spiegarmi che in fondo ero io che non mi sbattevo, che la vita è piena di opportunità e di lavoro. vaffanculo pensavo. lavoravo sempre, mi sembrava, anche quando non lo facevo. e non era un brutto lavoro, conoscevo gente strana ogni sera, era freddo, e con un bicchiere di roba forte chiunque era pronto ad aprirsi un po'. Laura tornò a milano, ci lasciammo in stazione, era stupido, molto da fidanzati, ma quella volta mi venne così. prima di partire aveva fatto pace con nora. Lei rimaneva, cominciai a cercarla spesso. e più la cercava più si allontanava e io mi intestardivo. nelle mie sbronze patetiche la incolpavo di qualunque cosa. persino di come era finita con Anna. nulla era vero, ma non capivo, non capivo proprio allora.

Un giorno, ricordo, stavo pulendo il cesso, salivano su pezzi di sbocco e smarroni ovunque, suonarono la porta. Lore si era sciolto le chiavi a casa, era la seconda volta a distanza di poche ore, mi disse:
- hanno legato Grossi
- ma chi? giuse? feci io, e un po' ghignavo.
- si, l'hanno beccato davanti al caffè, con un kilo di coca sotto il sedile, mi ha detto Gio che se fanno la perquisa a casa in tempo ci trovano anche delle armi quei figli di puttana.
- mi fotte il cazzo, quella carogna merita ogni disgrazia che gli capita
- già, lo sai che mi deve ancora quei 200 euro?
- a me ne deve 100
- canterà? perchè è questo che mi preoccupa, il bastardo farà di tutto per uscirne il prima possibile, è merda, capisci? è merda davvero stavolta..
Grossi aveva 28 o 29 anni, lo ricordo alle medie, era un cazzettino, balbettava, era timido, ma quando si era in gruppo a fare le canaglie era sempre il più feroce. Coi deboli con le tipe. Crescendo si era sbrogliato, aveva iniziato a spacciare a ragioneria, alle superiori. nei cessi. si fece un nome in breve, ma come spesso accade, gli diede alla testa e incominciò ad esagerare. gli piaceva un sacco la figa e le auto. tirava storiacce di hashish da 3 4 kili a botta, i suoi erano ricchi e i nonni ogni settimana lo investivano di soldoni che lui reinvestiva negli affari suoi. Poi si rese conto che non gli bastava e incominciò con la coca, all'inizio per farci le iene per lui poi sempre di più per le amichette. E anche in questo era un figlio di puttana, non si dava regole con nessuna, e in vero, non guardava proprio in faccia nessuno, neanche chi conosceva dall'asilo.
un giorno, anni prima, avevamo fatto un acquisto in gruppo e gli avevamo dato i soldi, in anticipo, come spesso si fa. Sparì per delle ore. ma continuava a rispondere al telefono, a dire che arrivava. il giorno dopo qualcuno lo vide uscire presto dalla caserma dei caramba, verso le sette, bianco in volto come un morto. fatto sta che della droga non ne vedemmo l'ombra, dopo due giorni legarono Tano dopo una perquisa a sorpresa di due in borghese, gli trovarono addosso qualche canna ed andò a finir bene. ma ne arrestarono altri in quei giorni, non per tutti fu così facile. era chiaro che Grossi aveva fatto l'infame. e per non so quale fortunata coincidenza riuscì anche a scampare vendette, ma quando si rese conto della mala aria scomparve per un annetto. In alaska dissero, dissero che era andato a lavorare per conto di una ditta petrolifera italiana, grazie al padre, come interprete. Quando tornò non era certo pulito dal marchio di spia, ma aveva fatto una certa esperienza e si mise a girare con un riccastro fascista con villa sulla baia. un figlio di puttana di prima categoria per cui organizzava festini a base di figa e coca. tutte le fichette del paese prima o poi sono passate di lì, magari a far niente, ma ci sono passate.

ci pensammo un po', ma presto l'argomento decadde, non era un giorno normale quello, cercai Nora quel giorno, ma non la trovai e aveva il telefono staccato. a sera mi presentai al bar un po' prima, un caffè, non mi accorsi subito che c'era il brigadiere, quello della caserma, più in là verso la cassa. non era in divisa. era un uomo semplice adesso, era il papà di Silvia, una compagna di elementari di mia cugina. mi sorrise e ricambiai il saluto, aveva gli occhi scavati dalla vecchiaia e da brutti pensieri, azzuri e freddi su un volto duromagro squadrato. Presi il caffè e andai fuori ad appizzare una marlboro, c'era vento e la fiamma non reggeva, arrivo una mano ad aiutarmi, poi mi chiese da accendere a sua volta.
- ha letto il giornale? mi disse dopo la prima boccata.
- si signore, beh, mi hanno raccontato
- lei sa per cosa
- il giornale parla di cocaina
- il giornale non dice tutto
- i giornali non dicono mai tutto, come le persone, non è così? lei col suo lavoro, dovrebbe saperlo.
- c'è sempre, in effetti, una parte di verità che viene preservata. protetta. una parte che si ritiene di non dover dire
- la verità è una cosa che va capita oltre che ascoltata, signore, io credo che si ha paura di questo. dire la verità non basta, bisogna farla capire.
l'uomo mi guardò, c'era altro, ma dovevo andare a lavorare, e non avevo voglia di ascoltare il resto. glielo dissi, che dovevo attaccare
- è bello comunque ogni tanto fare filosofia, ora mi scusi.
- certo certo, si trattenne un secondo, ma mentre mi voltavo aggiunse, era uno degli ultimi numeri che ha chiamato, e non era un caso..
- cosa sta dicendo?
- dico che la ragazza morta, chiamò prima questo bar e poi subito dopo il grossi. poi non ci sono più chiamate, se non una ricevuta. l'indagine è chiusa su quella storia, ma è un po' che le volevo parlare di questo.
- non ho niente da dire signore, dissi e questa volta andai dritto in cucina a mollare la roba, quando uscii di nuovo, il brigadiere non era più lì.

Arrivò la mezzanotte, e dire che non era proprio un giorno normale, il 22 novembre. era il compleanno di jake, ricordo che pensai a lungo a questo mentre sbrigavo le ultime cose, che comunque chiudemmo presto perchè non c'era gente. superai le ultime indecisioni, alle due andai in autogrill, mi fioccinai una bottiglia di vodka e tornai a casa. Lore non c'era, mi misi in mutande sul divano a scolarmi a poco a poco la vodka, c'era un programma con delle fighe diplastica in tele, una cosa squallida, mi addormentai rapido. e feci un altro sogno strano.

Ero sul crinale di una collina, salivo, ero io, sulla cima potevo vedere una specie di baracca, con una finestra illuminata. io salivo l'erba era alta, molto alta e io potevo essere un bambino, sono arrivato alla finestra e guardato dentro. Dentro c'era il tipo, il grossi, legato come un capro, come un cadavere che avevo visto qualche sera prima tardi in uno speciale sulla mafia, era tutto sporco di sangue e vomitava roba bianca. io ero felice, e feci per entrare dentro. Ma qualcosa mi svegliò uno schianto improvviso, forse lore che era rientrato, stavo dormendo, pensai, richiusi gli occhi ed ero in camera mia, dai miei, ma questo non era proprio un sogno erano ricordi, sentivo dei passi. era una mattina di qualche anno prima. jake era uscito per andare a lavorare, credevo di essere solo in casa, ma c'era lei. io mi alzai. Stava iniziando di nuovo l'estate, la luce filtrava dalle persiane, irradiava di verde la stanza, sentivo i suoi passi nudi, sul pavimento, lei doveva sentire me. Non volevo vederla, da sempre la mal sopportavo, quando era in casa mi dava fastidio, odiavo il fatto che jake fosse cambiato, ed era cambiato per lei. io davvero non capivo.

era in camera di mia madre, davanti allo specchio, provava sul collo come le stava una vecchia collana, un ciondolo di ferro a forma di cuore, che la madre di mia madre le aveva regalato quando era piccola. una delle poche cose che erano scampate quando avevano rapinato casa, anni prima. Giulia aveva i capelli corti allora. stavo sulla porta e a guardavo da lì. improvvisamente lei mi vide nello specchio, arrossì ma non si girò, continuò a guardarmi lì.
toccava il cuoricino metallico, come a carezzarlo,
- jake mi ha raccontato di questo. voleva regalarmelo, ma gli ho detto di no
mi sorrise. era un po' donna e un po' bambina. e forse fu che vidi la bambina.
- in fondo, in fondo credo non ci sia niente di male
- allora parli?
- ogni tanto si.
non le rivolgevo mai la parola, quasi sempre neanche la salutavo, io non approvavo. ricordo che feci un passo dentro, lei si girò e mi venne leggermente incontro, adesso la potevo vedere ancora con gli occhi spalancati a chiedermi
- perchè mi odi Ale?
- io, dissi, io non ti odio.