domenica, agosto 06, 2006

la parola "amore"

Si svegliò con un gran mal di testa. La bocca sapeva di vomito e vuoto ed era tutto dire. Tanto oggi niente scuola, già. Fece una lunga doccia gelata, mentre fuori cominciavano gli schiamazzi del mercato rionale. In casa non c'era nessuno, zompettò in giro per casa nuda, abbastanza addormentata ancora da trovare la cosa divertente e infine si fece un caffè.
La mamma aveva lasciato la caffettiera pronta sul fornello. Una caffettiera che aveva comprato lo stesso giorno che erano andate a vivere lì dopo che Luigi, suo padre, era morto. Non era proprio morto, ma una cosa così, almeno per lei. Si vestì alla leggera e intanto pensava a come avrebbe raccontato la serata prima ad Angela e alla Lory.
Uscì e col motorino arrivò in centro dove lavorava sua madre. Era quasi l'una e di solito d'estate la andava a prendere, così nell'ora mangiavano insieme come vecchie amiche. Questo succedeva ininterrottamente da sei anni, che lei andava ancora alle medie, pure col brutto tempo, pure se erano reciprocamente incazzate, pure se non si aveva proprio voglia. Era un rito, con la forza di un rito. Ma certe volte era proprio bello, a lei piaceva vedere la mamma felice, vederla sorridere la faceva sentire, non contenta, tranquilla. La mamma era buona ma non invincibile. Era una delle prime lezioni che aveva imparato.
Ricordò, mentre percorreva il viale di palme fino ai palazzoni nobili dove mamma lavorava, ricordò l'unica volta che l'aveva picchiata. Avrà avuto quindici o sedici anni, da giorni chiedeva se poteva farsi un terzo orecchino, che le piaceva, che tutte già avevano, e alla sera era tornata a casa col buco fatto e un'infiammazione. Sua madre le aveva detto di non farlo. Quando la vide, la vide scura chinata sul tavolo della cucina a pulire i fagiolini ad uno ad uno, con la faccia tirata dalle bollette dell'acqua. La mamma si alzò, le sfiorò con una carezza i capelli per vedere meglio l'orecchio, poi le mollò una mina sulla guancia opposta che la sbattè per terra e se ne andò in bagno. Quando si tirò su la sentì piangere dietro la porta, di quei pianti costanti e monotoni, ma silenziosi e appenna scanditi dal respiro che si faceva piano tutto ad un tratto.
Entrò nel portone, quei bei portoni barocchi, perchè i ricchi ci sono sempre stati, e vide il culone familiare di sua mamma dondolare avanti e indietro con una certa allegria mentre saliva strofinando le scale.
- ciao ma - disse e mentre questa si girava, vide Anna scendere le scale in quel momento, con un nuovo vestito, un nuovo costume, e quella faccia succhiacazzi impunita che aveva sempre tutte le volte che non c'era l'uomo ufficiale in giro.
- Ciao Giulia, vieni al mare con me? hai da fare?- le disse mentre scendeva senza degnare neanche di uno sguardo la donna delle pulizie.
- Non penso Anna, sono venuta a trovare mia mamma- e la indicò lì in terra, con un cenno.
- ah - fece Anna - peccato c'erano anche gli altri sai? c'era anche Tommy e Robbie..
- beh - quali sono le cose che pensava? probabilmente solo a non essere lì, di fronte a quel vestito nuovo e alla sua affascinante "amica dell'estate".
- e Simone, sai? oggi c'è anche Simone. Se hai tempo, dopo possiamo vederci alla boa, davanti ai bagni, come al solito-
La mamma stava zitta e continuava a lavorare, ma aveva fatto un occhiolino a Giulia di nascosto, girandosi per poco. Giulia sapeva che l'avrebbe fatta andare subito. Faceva sempre così, e lei si mise a contare meccanicamente i secondi che sarebbero passati da lì al momento in cui Anna se ne sarebbe andata. Si mise a fissare il pavimento dove era posato lo straccio di sua madre, e lo continuò a guardare nelle sue intersezioni mentre ci passava sopra il nuovissimo sandalo Gucci di Anna. Non siamo tutti uguali, pensò. E sorrise, mentre Anna la salutava, con gli occhi altrove, gli occhi spenti.

Entrò in casa di corsa mettendosi addosso il più spietato scazzo, Jake non aveva pietà per sua madre o suo padre, c'aveva fretta oggi, mangiare, dormire un'oretta e partire. Non si girò nemmeno quando suo padre gli urlò qualcosa sul lavoro. Dormì poco, non dormì quasi, sconvolto e infastidito da tutti quei rumori che si sovrapponevano alla quiete, al riposo. La tuona era drastica, era senza coscienza. In quel momento e proprio in quel modo si rese conto di essere innamorato. perchè proprio lì ed ora, si metteva a pensare a lei e al suo viso, e successivamente alle sue tette al suo corpo come una linea ondulato e scoppiante vita, esuberante vita. Ciò di cui aveva bisogno, perchè la routine quotidiana e frenetica non aveva peso, ma aveva ragione pratica. Fedeltà. Lealtà e senso del dovere si presentavano improvvisi ai suoi occhi con una violenza estemporanea. Da qualche mese ormai. Eppure aveva imparato la grande lezione.. Non c'è male che ti perseguiti per sempre sai? chi glielo aveva detto il nonno?. o un amico fidato che si occupava di lui proprio in quell'ora desolata.. e quante ore desolate c'erano state oramai? e il dubbio fino, insinuante allo stremo dell'animo, la domanda più ovvia, se era davvero quello il dolore? o un plastificato romanticismo irreale come il resto? Come il resto, l'incubo, violento e nella velocità immobile.

Fu la bava a colargli nella gola, e un improvviso bisogno di cesso, a svegliarlo. L'orologio e la fretta arrivarono dopo. A poco a poco, subentrarono anche loro con la razionalità. Meno di cinque minuti e poi lei sarebbe andata a lavorare. Lei per cui fare qualunque cosa. Lei che non era niente se non un'immagine. Una madonna.. Madre, madre abbracciami, pensò lavandosi addosso litri d'acqua da finire per terra. Eppure, nulla la bomba in testa non passava e anzi, nel fragile comporsi di sonno ed ebrezza, si moltiplicava nello specchio lucente degli occhietti rossi.

Fare la cagna tutto sommato è semplice. Basta chiudere gli occhi e sorridere, pensò. Si disse, quante volte è successo? Quante volte ho lasciato che fosse il sangue a decidere e non io. Le occhiate di Simone e del suo migliore amico l'abbronzavano più del sole. Ma loro erano innocenti sapete, Giulia era bellissima. Era piccola come una piccola bambolina cicciotta e liscia, liscia che pareva colare quel colore bruno della pelle, per scintillare odore di sensi. Vestita di un fragile rumore di niente, esplodeva a tratti il suo essere donna, il suo piccolo e privato essere donna. Che chi non avesse capito, chi avesse desiderato troppo o chi avesse ben pensato avrebbe giudicato osceno. Come dar fuoco a una croce, tanto era pagano il suo seno, il suo sorriso compiaciuto. E lei li guardava e leggeva nei loro occhi tutto questo.. e più in fondo dove tutto questo non esiste più, dove il sesso diventa vecchio, lì vedeva senza saperlo se stessa, distesa tra cumuli di neve azzurra.
Simone o chiunque altro. Nient'altro. Nulla che potesse durare più di domani, lei questo pensava mentre quei poveri imbecilli la immaginavano stesa sotto di loro, come un letto o un motorino.

Correva senza senso, senza speranza, nella più profonda sua età. Correva perchè senza pensare aveva deciso che lei era una giustificazione al Rischio, tanto bastava. Nient'altro serviva. In un momento di forte vento laterale sulla vespa, blu come il mare che schiamazzava di fianco, pensò, si chiese, perchè? perchè non combattere invece? perchè se tutto questo non era che un riscatto, perchè perdersi dietro una che mai avrebbe capito. E capito cosa? - si disse, maledicendo con la bocca un imbecille pieno di soldi e fortuna che gli aveva suonata, capito cosa di me? cosa sto facendo? - si disse e intanto la velocità era più ripida del mondo infame, in questo aiutata dalla tuona maestosa che gli scorreva. Lui la ringraziava, in realtà, adorava quella tranquillità placida, plumbea che lo permeava dal frastuono, dalla normalità.

Giulia si era fatta osservare abbastanza. Doveva lavorare. Il dovere era una cosa, era sua madre, e lei lo amava quel "dovere", lei amava quella donna cocciuta e indifesa. Fecero i galanti come in un film con Boldi. Perchè questo era il meglio del meglio. Perchè il meglio del meglio fa schifo. Lei sorrise tutto il tempo, quasi muta fino a che non se ne liberò. Poi volò al porto, al ristorante, attaccava alle sette, fino alle due, in nero nero, tipo black out. Quando scese al posteggio del porto, pensando a ste cose, disse tra sè un pò stupidamente, la prossima volta voto i comunisti.. poi vide arrivare una vespa blu. Il tipo lo vedeva sempre a quest'ora, lavorava lì vicino. Non l'aveva mai salutata, pensava di non piacergli. Ma poi si era resa conto che ogni tanto la guardava. Lei sorrise, lui la vide di lontano, la macchina non vide lui, lui planò molto, molto lentamente sull'asfalto, del tutto casualmente di fronte a lei.

Lui nel volo pensò, che figata, adesso le cricco vicino, vaffanculo diaccio, se finisce così son felice, maledetto donami la pace. Prese un colpaccio secco, sentì il sangue sulle gengive, sentì il suo profumo e aprì gli occhi e la vide lì davanti.
- Sei bellissima, disse
- Stai bene?, disse lei in un sorriso

Si misero insieme due mesi dopo, quando lui uscì dll'ospedale. Lei era sempre bellissima.

- Resti ancora qui con me? le rispose e lei quel giorno al porto capì tutto, proprio tutto.

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