giovedì, maggio 18, 2006

Finchè morte non vi separi

Era sicura, non si sarebbe accorto di nulla; si sarebbe alzato tardi come al solito, con il solito mal di testa ed il solito cattivo umore; sarebbe entrato in cucina senza degnarla di un’occhiata, soffocando nella tosse catarrosa per il troppo bere ed il troppo fumare; avrebbe ingoiato distrasttamente il caffè che gli preparava ogni giorno, un’occhiata distratta al giornale e poi sarebbe sceso giù al bar fino all’ora di pranzo…erano ormai tre anni che questa storia si ripeteva, ogni giorno uguale, ogni mattina la stessa silenziosa ed annoiata commedia. Era stanca ormai, non le bastava più ripetersi che Guido, in fondo, era un uomo buono, che avave iniziato a bere e a picchiarla da quando la sua vita era andata in frantumi, tre anni fa, con il licenziamento dalla vecchia fabbrica di tubi, dove faceva il guardiano, chiusa e ricollocata in Romania perchè il costo del lavoro è più basso; con la morte prima del padre, consumato in poco più di un anno da un cancro ai polmoni (l’ultimo premio ad una dinastia di operai), e poi del fratello, che da anni si trascinava tra ospedali, comunità di recupero e galera; Guido aveva quarantadue anni quando il suo mondo è crollato, lei ne aveva trentotto, non avevano figli, erano solo loro due, sposati da dieci anni, con un fidanzamento di due alle spalle; dodici anni condivisi, tra alti e bassi, come tutti, forse non felici, ma si sa, a volte è il caso di accontentarsi…ma adesso lei era stanca, era davvero stanca, da tre anni lui non le parlava, se non grugnendo ordini o insulti, non la toccava, se non per picchiarla, non la degnava di uno sguardo che non fosse colmo di disgusto ed astio.
La valigia era già pronta, nascosta nella dispensa della cucina, il biglietto del treno era già nella borsa; avrebbe aspettato che lui scendesse, poi, chiamato un taxi, sarebbe volata alla stazione e da lì via verso la riviera, nella casa che le aveva lasciato sua madre, lontana da quella pianura dove l’aria è ferma, stagnante, irrespirabile, come la sua vita, che le sembrava stringersi attorno come una gabbia, come una trappola; aveva messo da parte un po’ di soldi, tra poco le sarebbe arrivata la liquidazione e anche senza un lavoro, con un po’ di sacrifici, avrebbe potuto tirare avanti per un paio di anni, poi si sarebbe arrangiata, avrebbe fatto la donna ad ore, avrebbe assistito qualche anziano, insomma, i soldi per mangiare se li sarebbe procurati. “ Non si è neanche accorto che mi sono licenziata” pensava seduta in cucina, in attesa di sentire il suo passo pesante venire dalla camera da letto, ”non gli è sembrato strano che da una settimana, ormai, sono a casa tutte le mattine, neanche mi ha chiesto se ho preso ferie.”; questo pensiero le dava forza, per la prima volta in vita sua si sentiva sicura di una sua decisione, era certa di aver fatto la scelta giusta; doveva solo restare calma, aspettare che si alzasse, che scendesse, e poi sarebbe partita, avrebbe chiuso una volta per tutte con il passato; erano già le dieci e mezza, ancora mezz’ora e poi si sarebbe alzato, non doveva che aspettare; il treno partiva all’una, aveva tuto il tempo…

“Brutta stronza! Pensa che sono completamente coglione, che cazzo crede, solo perché non ho un lavoro non vuol dire che mi sia completamente rimbecillito…domani mattina le faccio un bello scherzetto, le faccio capire chi cazzo comanda in questa casa”. Non riusciva a darsi pace, sentiva la bile rodergli lo stomaco, avrebbe voluto svegliarla, prenderla per i capelli, urlarle “Dove cazzo credi di andare troia, eh? Non mi volevi dire un cazzo, mi volevi fregare?”, ma aveva deciso di aspettare l’indomani mattina.
Quando la sera aveva aperto la dispensa, non aveva subito capito che diavolo fosse quella massa scura, nascosta in fondo, dietro i barattoli di pelati; decise di accendere la luce, e si diresse verso l’interruttore, cercando di non fare troppo rumore; la testa gli pulsava, il passo incerto lo fece inciampare su una sedia; gli sfuggi una bestemmia tra i denti, un colpo di tosse soffocato; caracollante e goffo riuscì ad arrivare all’interrutore, un lampo del neon, una fitta più forte alle tempie. “Un borsone? E’ di Cristina, perché cazzo la tiene qui?”. La prese in mano, soppesandola, sorpreso e al contempo sicuro di trovarla piena; la aprì, dentro c’era tutta la sua roba. Come un animale cercò la sua borsetta; la teneva sempre su una delle sedie della cucina; con le mani tremanti di rabbia, la aprì; aveva il respiro pesante e roco, mentre frugava tutte le tasche, fino a trovare quello che cercava; un biglietto del treno per Vernazza: “ Ti ho capito puttana, volevi andartene senza dirmi un cazzo”. Sentiva il sangue pulsargli violentemente nelle tempie, una rabbia sorda gli saliva dal profondo dello stomaco; ricordava quella sensazione, era la stessa che aveva provato il giorno che morì suo padre, la stessa che provò dopo aver ricevuto la chiamata dal comando dei carabinieri che lo avvertiva del ritrovamento del corpo di suo fratello su una panchina del parco, con ancora la siringa nel braccio; ogni cosa gli era andata storta, continuava a ricevere punizioni che non meritava, ma ora basta. Completamente fuori di sé camminava attorno al tavolo della cucina, le mani gli continuavano a tremare “Brutta puttana? Nella buona e nella cattiva sorte! Te lo sei dimenticata?”; la sbronza gli era passata come di colpo, e sentiva nascersi dentro un’energia ed una determinazione che non ricordava più di avere: “Credi di potermi mollare così? Che cazzo sono, un paio di scarpe vecchie? Non ti ricordi che cazzo ha detto il prete quel giorno maledetto? FINCHE’ MORTE NON VI SEPARI! FINCHE’ MORTE NON VI SEPARI! Vuoi andartene? Bene...”. Si sentì improvvisamente lucido, sapeva cosa fare, aveva deciso…senza fare rumore, uscì di casa, andò sul retro dove teneva la macchina, armeggiò qualche minuto nel bagagliaio, e risalì in casa. Si svestì in silenzio, ripose i vestiti su una sedia, aprì il cassetto del suo comodino e vi nascose qualcosa.
“Brutta stronza! Pensa che sono completamente coglione, che cazzo crede, solo perché non ho un lavoro non vuol dire che mi sia completamente rimbecillito…domani mattina le faccio un bello scherzetto, le faccio capire chi cazzo comanda in questa casa”. Così pensava, ancora fremente di rabbia, sdraiato sul letto accanto a lei; poi, lentamente i pensieri si fecero sempre meno distinti, e la notte divenne sonno.

Il tempo sembrava non passare mai, continuava a fissare l’orologio; erano le undici meno dieci,sentì un rumore; era lui, stava venendo in cucina; sentì il cuore salirle in gola “Ora entra, neanche ti saluta, beve il caffè e scende…”; quando lo vide entrare le si fermò il respiro per un istante; lui la stava fissando con un sorriso tirato, non disse nulla; si diresse verso i fornelli, prese la tazzina del caffè, e lo bevve d’un fiato, “Che schifo, questo cazzo di caffè è freddo”
“Se per una volta ti alzassi ad un’ora decente” la voce non le tremava, si sentiva di nuovo padrona di sé, il disgusto che aveva provato alle sue parole le aveva cancellato ogni dubbio residuo; lui non si voltò neanche per guardarla; soffocò un colpo di tosse e sputò nel lavandino; “ Che animale!” pensò Cristina “non posso più sopportarlo, sarà meglio per tutti e due”. Continuava a guardare l’orologio, lui rimaneva in piedi, in silenzio, davanti al lavandino della cucina “Che cosa aspetta? Perché non va a pigliare il cappotto?”.
“Che c’hai sei rimasto incantato?”, disse Cristina; Guido si voltò lentamente, ancora con quel sorriso tirato con cui era entrato; la fissò per un attimo, quasi come se non si aspettasse di trovarla lì, poi senza dire nulla uscì dalla cucina e si diresse in camera da letto.
“Finalmente” pensò in un sospiro Cristina, e per un momento temette di aver parlato a voce alta; sentì chiudersi la porta della camera da letto, ed i passi di Guido che si dirigeva verso l’uscita; lei si alzò e si diresse verso il lavandino, fece scorrere l’acqua. “E’ l’ultima volta che ti lavo la tazzina, brutto maiale, da oggi dovrai cavartela da solo”; le dispiacque un po’ pensare questo, per un momento pensò che Guido da solo non ce l’avrebbe fatta, che non avrebbe potuto reggere un altro colpo del genere; si chiese se stava facendo la cosa giusta; “Non è il momento di farti venire i rimorsi, adesso prendi la borsa e vai…”; sentì all’improvviso una mano afferarle con forza i capelli, riconobbe subito il respiro pesante di Guido, con l’altra mano le bloccava il braccio dietro la schiena, glielo torceva quasi fino al punto di spezzarsi, non si ricordava più di quanto fosse forte.
“Sorpresa piccola, oggi è il giorno delle sorprese…ho visto che hai preparato la borsa, devi partire?”
“Guido mi stai facendo male, lasciami, ti posso spiegare, volevo solo prendermi un paio di giorni per rilassarmi…”
“Già, e ti porti via tutta la roba…tu sei sempre stata molto religiosa, mi rimproveravi sempre ogni volta che bestemmiavo, e ora, vuoi violare un sacramento? Un giuramento fatto davanti a Dio? A dire il vero, di dio non me ne frega proprio un cazzo, ma non mi va di farmi prendere per il culo da te”.
Cristina era paralizzata, sentiva il sudore colarle lungo la schiena, la stretta di Guido che le bloccava il braccio; non sapeva che fare, non riusciva a muoversi; l’occhio le cadde sul grosso coltello da cucina, rimasto ad asciugare sul lavandino dalla sera prima, Guido continuava a stringerla e a respirarle addosso; ora le parlava in un orecchio, col tono di chi rimprovera una bambina.
“ Ti ricordi che cosa hai giurato? A me, al prete, a Dio, a chi cazzo vuoi tu? Che saremmo stati insieme finchè morte non ci separi; vuoi andartene tu? E io ti voglio dare una mano, di là in camera ho portato la pistola, vieni con me…”.
Fu un attimo, Cristina sentì qualcosa di caldo colarle sulle mani, Guido lasciò la presa, barcollò leggermente, tenendosi il fianco dove aveva conficcato il grosso coltello da cucina, tossì un fiotto di sangue e la guardò con un sorriso maligno.
“Brava piccola, l’ho sempre detto che hai carattere; ora sei libera, basta che tu sia convincente con gli agenti…”; Guido scoppiò a ridere, accasciandosi lentamente sul pavimento della cucina allagato di sangue. Cristina rimase immobile per un attimo, fissando il corpo privo di vita davanti ai suoi piedi, quasi rapita dalla macchia rossa che continuava ad allargarsi sul pavimento…
“Pronto, polizia, ho appena ucciso mio marito…”
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